accidenti ed incidenti

domenica 19 ottobre 2025

Il suo ottimismo le ha fatto guadagnare alcuni dei nemici più potenti del mondo.

 

Il suo ottimismo le ha fatto guadagnare alcuni dei nemici più potenti del mondo. Gli U.S.A. l'hanno messa sotto accusa, le multinazionali la minacciano. A lei piacciono queste "discrepanze".

Masha Gessen

( https://www.nytimes.com/2025/10/16/opinion/palestinians-united-nations-francesca-albanese.html?unlocked_article_code=1.t08.K9DR.52Tna6FH1WFo )

Ariano Irpino, Italia — Francesca Albanese non può permettersi di prendere un caffè, pa­gandolo lei, nella sua città natale. Ogni volta che entra in un bar, qualcuno corre a pagarle il conto. Trent'anni fa, quando si diplomò, non vedeva l'ora di andarsene. Oggi, gli auto­mobilisti si fermano per porgerle la mano. Uno striscione, di quelli fatti in casa, pensolante da un cavalcavia autostradale recita "Grazie, Francesca!".

Albanese è diventata un'eroina della sua città natale dopo che la Casa Bianca l'ha etichetta­ta come nemica, cosa che ha fatto a causa del suo impegno, negli ultimi tre anni, come rela­trice speciale delle Nazioni Unite per i territori palestinesi occupati. Nel corso di questo in­carico, ha perseguito strategie tanto ambiziose dal punto di vista legale quanto politica­mente rischiose. Ha documentato violazioni dei diritti umani, come hanno fatto i suoi pre­decessori. Ha fatto infuriare alcuni dei suoi alleati condannando le violenze di Hamas del 7 ottobre 2023, per poi scatenare una bufera quando è intervenuta sui social media per con­testare una dichiarazione stereotipata del presidente francese che definiva antisemite que­ste violenze. In modo forse ancora più esplosivo, ha attaccato le aziende, tra cui alcune del­le più grandi degli Stati Uniti, che consentono e traggono vantaggio dalle violazioni dei di­ritti umani, e che probabilmente continueranno a farlo, indipendentemente dal cessate il fuoco.

A luglio, il Segretario di Stato Marco Rubio ha annunciato l'imposizione di sanzioni nei suoi confronti. È diventata una "persona con designazione speciale", uno status gene­ralmente riservato a trafficanti di armi e droga, terroristi e oligarchi che li hanno finanziati. Le persone inserite nella lista non possono recarsi negli Stati Uniti. Perdono l'accesso a qualsiasi bene posseduto nel Paese, non possono fare affari con aziende statunitensi e non possono utilizzare valuta statunitense, il che significa che non possono effettuare la mag­gior parte delle transazioni finanziarie internazionali. Sotto la presidenza Trump, le sanzio­ni sono state utilizzate per colpire i difensori dei diritti dei palestinesi, tra cui tre importan­ti organizzazioni palestinesi per i diritti umani, punite per essersi "direttamente impegnate negli sforzi della Corte Penale Internazionale per indagare, arrestare, detenere o perseguire cittadini israeliani". Il procuratore capo della CPI, Karim Khan, è stato sottoposto a sanzio­ni, così come altri procuratori e giudici della CPI. L'amministrazione Trump ha imposto sanzioni ai funzionari della CPI anche durante il suo primo mandato, quando si diceva che la corte stesse indagando sulle azioni americane in Afghanistan. Nel suo secondo mandato, ha condotto una campagna apparentemente volta a distruggere del tutto le istituzioni della giustizia internazionale.

L'idea che alcuni crimini siano così efferati che il mondo debba intervenire risale ai proces­si di Norimberga, che seguirono la Seconda Guerra Mondiale. Gli ultimi anni di questo progetto, che dura da 80 anni, sono stati un ottovolante. L'invasione su vasta scala dell'Ucraina da parte della Russia è stata la prima vera e propria guerra di aggressione in Europa dopo la sconfitta di Hitler. A pochi mesi dall'invasione, emersero prove di atrocità di massa nella periferia di Kiev, occupata dalla Russia per un mese, e nella città assediata di Mariupol, dove la Russia sembrava usare l'affamamento come arma di guerra. Questo accadeva proprio nei luoghi in cui, meno di un secolo prima, erano stati perpetrati alcuni dei crimini perseguiti a Norimberga.

Il mondo occidentale era unito dall'indignazione. La volontà politica, le risorse e le prove sembravano finalmente pronte per sfruttare appieno il potenziale delle istituzioni e delle leggi create nei decenni successivi a Norimberga.

E poi, appena un anno e mezzo dopo l'invasione russa dell'Ucraina, Hamas attaccò Israele, e Israele rispose con una forza che rapidamente iniziò ad apparire estrema, poi eccessiva, poi indiscriminata, poi simile a un possibile crimine di guerra e infine al crimine supremo: il genocidio. Ma anche mentre si formava un consenso tra gli attivisti per i diritti umani e gli studiosi del genocidio, il consenso politico si sgretolò. A differenza dei crimini di guerra del Presidente russo Vladimir Putin, quelli del Primo Ministro israeliano Benjamin Neta­nyahu sono stati perpetrati con il sostegno delle principali potenze occidentali.

Il diritto internazionale è nato come un progetto occidentale – anzi, come sostiene il giuri­sta Lawrence Douglas nel suo prossimo libro, ha contribuito al progetto imperiale occiden­tale. Le sue priorità hanno ampiamente coinciso con quelle delle potenze occidentali. Alcu­ni leader occidentali hanno accolto con favore il mandato di arresto emesso dalla Corte Pe­nale Internazionale per Putin, emesso nel marzo 2023, ma sono rimasti sconvolti dal man­dato di arresto emesso per Netanyahu un anno e mezzo dopo. (La Corte Penale Internazio­nale ha emesso anche un mandato di arresto per il comandante di Hamas, Muhammad Deif, ma Israele lo ha ucciso.)

E proprio così, le potenze occidentali, che non avevano mai abbracciato pienamente questa loro invenzione, si sono lasciate andare a considerare la giustizia internazionale lettera morta.

Questo è il primo di una serie di articoli sui nuovi ed emergenti tentativi di mantenere la promessa di giustizia internazionale. Per me, questa promessa non è astratta. È personale – come, sospetto, lo è stata per i dissidenti di tutto il mondo.

Come giornalista d'opposizione in Russia, e in seguito, vivendo in esilio forzato, ho sempre cullato l'idea che Putin potesse un giorno essere processato per i suoi crimini. Mi sono det­ta che avrei continuato a lavorare abbastanza a lungo da poter raccontare il suo processo. La giustizia internazionale è una religione civile per i nostri tempi: chi di noi non crede in Dio potrebbe comunque aver avuto fede nelle sentenza supreme emesse all'Aja.

Certo, gli Stati Uniti hanno sempre preso le distanze dal diritto internazionale umanitario: gli americani hanno contribuito a progettare il processo di Norimberga, hanno discusso casi e hanno presieduto i procedimenti. Giudici americani siedono nella Corte Internazio­nale di Giustizia, un organismo delle Nazioni Unite. Ma gli Stati Uniti non hanno firmato il trattato istitutivo della Corte Penale Internazionale. Per gran parte degli ultimi 80 anni, gli Stati Uniti si sono riservati il ​​ruolo di portavoce della coscienza mondiale, infliggendo pu­nizioni dopo scarse consultazioni e ancor meno assumendosene la responsabilità legale. Tuttavia, la posizione dell'amministrazione Trump è diversa. Questa amministrazione non pretende di avere una coscienza e cerca di punire qualsiasi paese o persona che aspiri ad averne una.

La promessa di Norimberga è che il mondo, nel suo insieme, manterrà la sua bussola mo­rale, anche quando alcuni paesi la perderanno. Che i crimini saranno puniti anche se i col­pevoli hanno agito secondo le norme e le leggi della loro società, anche se stavano sempli­cemente eseguendo degli ordini. Cosa succede a questa promessa quando la nazione più potente del mondo non si limita a ricalibrare la sua bussola morale, ma la rompe completa­mente?

"Alcuni dicono che il bicchiere è vuoto per nove decimi", ha detto Douglas, la cui storia del­la giustizia internazionale, "The Criminal State: War, Atrocity, and the Dream of Interna­tional Justice", sarà pubblicata in primavera. "A me piace dire che è pieno per un decimo".

Albanese, per esempio, pensa che non stiamo assistendo alla morte della giustizia interna­zionale, ma a un nuovo inizio.

Il lavoro di relatore speciale – il lavoro di Albanese – non è retribuito. Molti di questi in­carichi sono ricoperti da uomini in età pensionabile. Albanese è molto più giovane di tutti i suoi sette predecessori diretti ed è la prima donna a ricoprire questo incarico per i Territori Palestinesi. Suo marito, Massimiliano Cali, è un economista della Banca Mondiale. Appar­tengono alla tribù degli operatori umanitari internazionali: combattivi, impavidi, perenne­mente alla deriva. Negli ultimi anni hanno vissuto in Tunisia. (Sono stati in Italia per l'estate, a casa della madre di Albanese, affetta da Alzheimer.) Hanno vissuto a Washing­ton, D.C., dove Albanese ha tenuto lezioni a Georgetown e dove è nato il loro primo figlio.

Per quasi tre anni, a partire dal 2010, hanno vissuto in Cisgiordania. Ciò che Albanese ha visto lì l'ha scioccata – in parte, ammette, perché i coloni israeliani "mi assomigliano. Mi dispiace, ma anch'io ho i miei pregiudizi. Non riuscivo a capire come persone istruite in Occidente potessero essere così barbare nei confronti degli altri esseri umani. Così violente e così indifferenti al riguardo". All'epoca si chiese: "Perché i coloni non vengono portati in tribunale? Allora, 15 anni fa, nessuno ci pensava".

L'esperienza di Albanese di vita e lavoro in Cisgiordania è un altro aspetto che la differen­zia da molti dei suoi predecessori. Ha affermato che sono passati 17 anni dall'ultima volta che Israele ha permesso a un relatore speciale di entrare nei territori occupati.

Albanese è stata di gran lunga la più aperta tra i relatori speciali. Una volta nominata, si è rivolta ai social media – prima di accettare l'incarico, non aveva mai usato Twitter – nel tentativo di attirare l'attenzione sulle sue scoperte e sulla difficile situazione dei palestinesi. Per quanto riguarda la ricerca in sé, oltre a documentare ciò che accade sotto l'occupazio­ne, ha esplorato un nuovo terreno scrivendo di come accade e perché, delle strutture di po­tere che hanno permesso violazioni dei diritti umani e in alcuni casi ne hanno persino trat­to profitto. Nel giugno 2023, Albanese pubblicò un rapporto su quello che definì il "conti­nuum carcerario" a cui sono sottoposti i palestinesi nei territori occupati: non solo prigio­nia e detenzione, ma anche limitazioni alla libertà di movimento e sorveglianza digitale. Le restrizioni e la sorveglianza, suggerì, "potrebbero costituire crimini internazionali perse­guibili ai sensi dello Statuto di Roma", il documento fondativo della CPI. Il suo rap­porto successivo si concentrò sui diritti dei bambini palestinesi, concludendo che Israele potrebbe violare la Convenzione sui diritti dell'infanzia e le responsabilità legali di una po­tenza occupante.

Poi arrivarono l'attacco di Hamas del 7 ottobre e l'attacco israeliano a Gaza. Nel marzo 2024, con oltre 30.000 palestinesi uccisi, il 70% delle abitazioni distrutte e l'80% della po­polazione sfollata con la forza, Albanese scrisse che "ci sono ragionevoli motivi per ritenere che la soglia che indica la commissione di genocidio da parte di Israele sia stata raggiunta". Il suo rapporto successivo ha fornito maggiori dettagli su ciò che, a suo avviso, era l’intento genocida di Israele.

Oltre al Tribunale Militare Internazionale di Norimberga, i tribunali militari statunitensi celebrarono altri 12 processi, tre dei quali incentrati sul ruolo dei principali industriali nell'alimentare la guerra e nel trarre profitto dal saccheggio e dall'impiego di manodopera schiavistica. Tutti gli imputati sostenevano, in effetti, di stare semplicemente cercando di gestire un'azienda. Quasi la metà fu assolta; le condanne più lunghe furono presto com­mutate. Alla fine del film del 1961 "Il processo di Norimberga", un giovane avvocato tede­sco, interpretato da Maximilian Schell, informa il saggio giudice americano interpretato da Spencer Tracy che il processo ai dirigenti della I.G. Farben, la cui filiale produceva il gas Zyklon B, si è concluso. "La maggior parte di loro è stata assolta", afferma l'avvocato. "Gli altri hanno ricevuto condanne lievi". Il suo punto di vista è che l'intero tentativo di cercare di chiamare a rispondere delle proprie azioni la società tedesca, complessivamente intesa – non solo i suoi generali – sia fallito.

Tuttavia, i processi hanno messo a punto un nuovo concetto di responsabilità. In un pro­cesso attualmente in corso in Svezia, dirigenti di compagnie petrolifere sono accusati di crimini di guerra in Sudan. La società cementiera Lafarge, che si è dichiarata colpevole nel 2022 di aver fornito supporto materiale all'ISIS, deve rispondere di ulteriori accuse in Francia per presunta complicità in crimini contro l'umanità in Siria. Se entrambi i casi si concludessero con il carcere, potrebbe essere la prima volta da Norimberga che dirigenti del settore imprenditoriale vengono ritenuti penalmente responsabili di crimini di guerra a cui hanno contribuito e/o tratto profitto.

Nell'autunno del 2024, Albanese annunciò che il suo prossimo rapporto si sarebbe concen­trato sul ruolo delle multinazionali nel genocidio di Gaza. Le è pervenuta una gran quanti­tà di segnalazioni da parte di avvocati e organizzazioni per i diritti umani. Si tratta di mate­riale più ampio di quanto Albanese avesse mai trattato in precedenza. Alla fine, ha indaga­to su 48 aziende, molte delle quali, come Alphabet, Microsoft e Airbnb, con sede negli Stati Uniti, sebbene l'elenco includesse anche Volvo, Hyundai e BP. Afferma di averle contattate tutte e di aver ricevuto una risposta soltanto da 18.

Ha anche sentito il governo degli Stati Uniti. Ad aprile, la Missione degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite ha rilasciato una dichiarazione in cui denunciava Albanese come "l'ennesi­mo esempio del perché il Presidente Trump abbia ordinato agli Stati Uniti di cessare ogni partecipazione" al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite. "Le azioni della signo­ra Albanese dimostrano in modo chiarissimo che le Nazioni Unite tollerano l'odio antise­mita, i pregiudizi contro Israele e la legittimazione del terrorismo". A maggio, Leo Terrell, il capo della task force del Dipartimento di Giustizia nominata da Trump per combattere l'antisemitismo, ha inviato ad Albanese una richiesta formale in cui chiede di interrompe­re la sua "allarmante campagna richiesta di chiarimenti e contestazioni nei confronti delle istituzioni che sostengono o investono nello Stato di Israele". La nota la accusava anche di aver ricevuto denaro da gruppi pro-Hamas, di antisemitismo e di "diffamazione" delle so­cietà su cui stava indagando.

La prima accusa riguardava i finanziamenti ricevuti da Albanese per un viaggio in Nuova Zelanda e Australia nel 2023. Una commissione delle Nazioni Unite ha indagato e non ha riscontrato illeciti, sebbene la commissione le abbia ricordato la necessità di evitare conflit­ti di interesse, reali o percepiti. Le accuse di antisemitismo risalgono al 2014, quando Alba­nese – allora operatrice umanitaria, non funzionaria delle Nazioni Unite – scrisse una let­tera aperta alla BBC sulla copertura mediatica della guerra israeliana a Gaza di quell'anno. In essa, faceva riferimento all' "avidità di Israele" e una settimana dopo scrisse una lettera in cui faceva riferimento a una "lobby ebraica".

Da allora si è scusata ripetutamente e ha affermato – anche a me, più di una volta – che quando scrisse le lettere non era consapevole di usare metafore antisemite. Undici anni dopo, è più consapevole dell'eco che le sue parole possono avere, una parte del processo di apprendimento che, a suo dire, è una costante nel suo lavoro. Tra le altre cose, ha letto molto sulla storia ebraica e israeliana.



Albanese venne a conoscenza della nota ufficiale del Dipartimento di Giustizia quando fu pubblicata su X. "È stato allora che ho iniziato a dare di matto, ad avere paura", mi ha det­to. Seduta su una panchina nel parco pubblico della sua città natale, all'ombra di un castel­lo normanno, con vista su una vasta vallata, sembra piccola e vulnerabile come qualsiasi altro essere umano. Eppure il governo degli Stati Uniti l'aveva accusata di intimidire le più grandi aziende del mondo. "Riuscite a immaginarmi terrorizzare Google, Microsoft?"

Alcuni dei contatti di Albanese negli Stati Uniti hanno iniziato a tagliare i ponti con lei, ci­tando pareri legali. I suoi numeri di telefono sono stati diffusi online. Ha ricevuto minacce sempre più frequenti e inquietantemente dettagliate.

Il 2 luglio, Albanese ha pubblicato il suo rapporto, intitolato "Dall'economia dell'occupazio­ne all'economia del genocidio". Ha nominato aziende come Lockheed Martin e Caterpillar, che hanno fornito attrezzature fisiche per la distruzione di Gaza, e Amazon, Alphabet, Microsoft e Palantir, che hanno contribuito con tecnologie e software sofisticati che Israele ha utilizzato nel suo impegno bellico. Ha criticato il Massachusetts Institute of Technology per aver condotto ricerche per conto del Ministero della Difesa israeliano.

Una settimana dopo, l'amministrazione Trump ha annunciato le sanzioni contro di lei.

Non può partecipare all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite o ad altre riunioni presso la sede centrale di New York. Lei e Cali potrebbero perdere un appartamento a Washing­ton, l'unica proprietà che abbiano mai acquistato. Albanese potrebbe anche perdere l'accesso ai servizi forniti dalle aziende americane. Questo potrebbero includere social me­dia, e-mail, Zoom e altre tecnologie per videoconferenze, e persino il sistema operativo del suo computer. Se ciò accadesse, mi ha detto che diffonderebbe i messaggi tramite contatti amichevoli che possono continuare ad utilizzare i social media. Le persone erano solite combattere l'oppressione senza la tecnologia, ricorda a sé stessa. "Gli antifascisti italiani andarono ad aiutare i loro compagni spagnoli a combattere contro Franco, e comunicava­no. Trovarono il modo".

Si può pensare che non arrendersi mai, comportarsi come se la giustizia fosse sempre pos­sibile faccia parte del lavoro di Albanese . Ma quegli antifascisti italiani e i loro compagni spagnoli vennero sconfitti. E non si può combattere un genocidio attraverso gli amici sui social media. In realtà, poi, non è affatto chiaro se si possa combattere contro un genoci­dio. Il diritto internazionale fa due distinzioni fondamentali tra il genocidio e la più ampia categoria dei crimini contro l'umanità. Una differenza riguarda l'intenzionalità: i crimini contro l'umanità sono crimini di disprezzo per la vita umana, mentre il genocidio è un cri­mine d'odio contro un gruppo specifico. L'altra differenza riguarda il modo in cui il mondo è obbligato a rispondere: secondo la normativa vigente, gli altri paesi non sono tenuti a im­pedire che si verifichino crimini contro l'umanità, ma la Convenzione sul Genocidio impo­ne a tutti gli altri paesi di impedire il genocidio. La convenzione riconosce che il genocidio è un processo storico. Non si limita a considerare il momento in cui un gruppo di persone viene sterminato; ma prende in considerazione il suo sviluppo nel corso del tempo e il di­ritto internazionale esige che venga impedito.

Ma come si impedisce un genocidio? L'anno scorso, un gruppo che includeva palestinesi e palestinesi-americani ha sostenuto presso una Corte Distrettuale Federale in California che la Convenzione sul genocidio obbliga gli Stati Uniti a interrompere gli aiuti a Israele. Nella sua sentenza, il giudice Jeffrey S. White ha implorato le autorità statunitensi di "esaminare i risultati del loro instancabile sostegno all'assedio militare contro i palestinesi a Gaza", ma ha concluso di non poter ordinare al governo di fare qualcosa. Sempre all'inizio dell'anno scorso, la Corte Internazionale di Giustizia ha avviato le udienze in un caso presentato dal Sudafrica, che sosteneva che Israele stesse commettendo un genocidio a Gaza. Ci vorranno anni prima di una sentenza definitiva, ma lo scorso gennaio la Corte Internazionale di Giu­stizia ha ordinato a Israele di adottare misure per ridurre al minimo le vittime civili a Gaza. Le prove disponibili suggeriscono che Israele abbia fatto il contrario.

Eppure, il verdetto finale della Corte Internazionale di Giustizia è tutt'altro che scontato. "È così difficile provare il genocidio", ha detto Douglas. "Bisogna avere qualcosa di simile al Protocollo di Wannsee", il documento in cui i leader nazisti delinearono il loro piano per sterminare 11 milioni di ebrei europei. Douglas ha aggiunto: "A mio avviso, i crimini contro l'umanità sono piuttosto gravi". Douglas ritiene infatti che, nel caso delle azioni di Israele a Gaza, una sentenza di condanna per crimini contro l'umanità sarebbe più appropriata di quella di genocidio. Ma se questa fosse la conclusione della corte, ha affermato, "il titolo sarà: 'Israele assolto dall'accusa di genocidio'".

La promessa di giustizia internazionale si trasformerà in cavilli legali mentre gli Stati Uniti sabotano persino questo sforzo? Solo se glielo permettiamo, ha affermato Albanese. "Dob­biamo davvero trovare un modo per isolare questa amministrazione, per smettere di affi­darle il potere di dettare le regole di ingaggio a livello internazionale". Un passo avanti, af­ferma, potrebbe essere l'abbandono di New York come sede principale delle Nazioni Unite.



La comprensione dei sistemi legali da parte di Albanese è in parte influenzata dall'essere cresciuta in Italia, all'apice del potere e della violenza della mafia. Quando Albanese aveva 14 anni, la mafia, in due episodi separati, uccise due giudici, Giovanni Falcone e Paolo Bor­sellino. Questi giudici avevano denunciato i meccanismi della mafia e la misura in cui tali meccanismi erano "interiorizzati nelle vene dello Stato", come ha affermato Albanese. Pri­ma di allora, "vi era gente che negava persino l'esistenza della mafia", ha affermato. Ma dopo i loro omicidi, gli italiani si sono uniti per chiedere un cambiamento.

Lo scontro tra Albanese e la Casa Bianca di Trump non è semplicemente il conflitto tra un critico di Israele e un'amministrazione statunitense che sostiene incondizionatamente Israele: è un conflitto tra qualcuno che comprende profondamente il funzionamento di uno Stato mafioso e un'amministrazione statunitense che sta costruendo uno Stato mafioso. È logico che questa amministrazione stia punendo Albanese per la sua attenzione all'intrico tra il genocidio e il profitto.

Tuttavia, Albanese ritiene di vedere l'ascesa di una nuova solidarietà e di una nuova consa­pevolezza, nelle strade e nei tribunali. A gennaio, i rappresentanti di otto paesi si sono riu­niti all'Aia, dove hanno sede sia la Corte Penale Internazionale che la Corte Penale Interna­zionale di Giustizia, per dichiarare la loro intenzione di chiamare Israele a rispondere delle proprie azioni. A luglio, la Colombia ha ospitato il primo incontro. Si chiamano Gruppo dell'Aja. Altrettanto importanti, secondo Albanese, sono i giovani che, in tutto il mondo, sono scesi in piazza a protestare.

"Le persone stanno collegando tra ciò che le multinazionali fanno in Congo e quello fanno in Palestina."

"La gente dovrebbe smettere di chiedersi: 'Hai fede nel diritto internazionale?'", ha detto Albanese. Propone una visione più pragmatica. "Il diritto internazionale non è Dio. Il dirit­to internazionale è solo uno strumento, è un attrezzo." Un consenso globale in evoluzione può mettere a frutto questi strumenti, secondo lei, poiché non sono mai stati utilizzati pri­ma, nei tribunali grandi e piccoli.

Molti israeliani viaggiano molto e un numero significativo di loro possiede un secondo pas­saporto. Albanese immagina, ad esempio, che i cittadini con doppia cittadinanza sospettati di crimini di guerra vengano processati nei loro secondi paesi. A luglio, due israeliani che stavano partecipando a un festival musicale in Belgio sono stati brevemente trattenuti e in­terrogati in merito al loro possibile collegamento con crimini di guerra mentre prestavano servizio a Gaza. Sono stati rilasciati e il caso è stato deferito alla Corte Penale Internaziona­le.

Sono passati 80 anni dall'inizio del Processo di Norimberga. Anche la Corte Penale Inter­nazionale ha compiuto 80 anni quest'anno. Si sono succedute decine di sentenze, più di una dozzina di tribunali internazionali e diversi trattati. Eppure, la promessa ultima della giustizia internazionale – che non solo i criminali possano essere puniti, ma anche che i crimini possano essere scongiurati – è rimasta un'aspirazione. Albanese pensa che le cose stiano per cambiare: "Quando gli standard ci sono e non vengono applicati, allora è il mo­mento di portare la questione in tribunale".

E tuttavia, arriverà troppo tardi per molti palestinesi di Gaza. C'è voluta la distruzione degli ebrei europei perché il mondo riconoscesse il crimine di genocidio e promettesse di non permetterlo mai più. Il genocidio a Gaza potrebbe già essere terminato. La morte e la distruzione che ha portato spingeranno il mondo a mantenere la sua promessa?

sabato 11 ottobre 2025

PAGINA 12, ARGENTINA, PUBBLICA DUE ARTICOLI SUL PREMIO NOBEL PER LA PACE  A MARIA CORINA MACHADO

https://www.pagina12.com.ar/864760-nobel-golpista

Nel 2002, il presidente democraticamente eletto del Venezuela, Hugo Chávez, fu rapito e imprigionato sull'isola di La Orchila. Corina Machado (nella foto), diversi imprenditori e il New York Times sostennero il colpo di stato. L'opposizione proclamò Pedro Carmona (imprenditore e membro dell'Opus Dei) nuovo presidente. Carmona decretò lo scioglimento dell'Assemblea Nazionale, della Corte Suprema e di altre istituzioni. Machado firmò la dichiarazione di sostegno a queste misure.
Il New York Times salutò il colpo di stato guidato da "un rispettato uomo d'affari", il cui scopo era quello di rovesciare la dittatura eletta in Venezuela. Secondo documenti declassificati, la CIA sapeva che George Bush era a conoscenza della situazione. Il 25 aprile, il Times riferì che 877.000 dollari di fondi per i disordini sociali pre-golpe erano stati erogati tramite terze parti, tra cui il National Endowment for Democracy. Secondo un cablogramma del 13 luglio 2004, organizzazioni come l'USAID avevano inviato quasi mezzo milione di dollari per fornire "formazione ai partiti politici". Anche il cubano Otto Reich (uno degli organizzatori delle persecuzioni contro i Contras in Nicaragua e parte del piano Iran-Contra) fu responsabile di aver contribuito al colpo di Stato.
Tornato al potere grazie alle proteste popolari, Chávez perdonò diversi golpisti. Tra questi, i personaggi dell'opposizione Henrique Capriles e Leopoldo López, che continuarono la loro attività politica "condannando la dittatura". Il 14 agosto, la Corte Suprema venezuelana assolse gli ufficiali militari Efraín Vásquez, Pedro Pereira, Héctor Ramírez e Daniel Comisso, partecipanti al colpo di Stato "contro la dittatura".
Frustrato da questo fallimento, il 23 agosto 2005, il telepredicatore Pat Robertson, davanti alle telecamere del suo potente Club700, si rivolse a un milione di fedeli e propose di assassinare Hugo Chávez "per aver distrutto l'economia venezuelana e aver permesso a comunisti e islamisti di infiltrarsi nel suo governo". Non importa che nulla di tutto ciò sia vero. "L'opzione dell'assassinio è chiaramente più economica che scatenare una guerra... con questo, non interromperemo l'approvvigionamento petrolifero del Venezuela... abbiamo la Dottrina Monroe e altre dottrine da applicare". L'influente pastore, amico del dittatore Efraín Ríos Montt del Guatemala e di altri cristiani genocidi come Roberto D'Aubuisson di El Salvador e Mobutu Sese Seko dello Zaire, voleva assassinare un presidente eletto dal popolo che era anche un fervente cristiano. Il 9 dicembre 2007, all'Università di Miami, un giornalista annunciò, su Univision, il "Primo Forum Presidenziale del Partito Repubblicano in Spagnolo", menzionando il regolamento: non si sarebbe parlato spagnolo al forum in lingua spagnola.
Una delle moderatrici del non dibattito era María Elena Salinas.
Salinas: "Una settimana fa, il Venezuela ha respinto le modifiche alla Costituzione del Presidente Hugo Chávez..."
Un applauso interruppe María Elena, che nascose un sorriso.
Salinas: "Molti credono che Chávez sia una minaccia per la democrazia nella regione. Se fossi presidente, come tratteresti Chávez?"
Paul: "Beh, non è la persona più facile con cui trattare, ma dobbiamo trattare con tutti nel mondo, con rispetto, cercando di dialogare e commerciare con..."
Forti fischi. Ron Paul, con gli occhi stanchi, ma il volto già segnato da lunghi anni da dissidente conservatore, insistette:
Paul: "...abbiamo parlato con Stalin, abbiamo parlato con Krusciov. Abbiamo parlato con Mao... In effetti, dovremmo parlare con Cuba..."
I fischi crebbero come un uragano su Miami.
Paul: "...e viaggiare a Cuba e commerciare con Cuba. Ma lasciate che vi spieghi perché abbiamo un problema con loro: perché ci siamo intromessi nei loro affari interni per così tanto tempo... Abbiamo creato i Chávez, i Castro di questo mondo, interferendo e creando caos nei loro paesi, e loro hanno risposto con i loro leader legittimi."
I fischi raggiunsero il culmine. Miami voleva mangiarlo crudo, senza rum. Le regole civili del Forum ci impongono di rimanere indifferenti al prossimo candidato, che ha ascoltato molto attentamente la voce del popolo. Huckabee (futuro ambasciatore di Trump in Israele): "Anche se Chávez è stato eletto, non è stato eletto per essere un dittatore... Mia madre diceva sempre: 'Se dai a qualcuno abbastanza corda, si impiccherà', e penso..."
Giuliani: "Sono d'accordo con il modo in cui Re Juan Carlos ha parlato a Chávez. (Applausi) Meglio di quello che vorrebbe fare il deputato Paul... C'è speranza che la gente capisca la necessità di mercati aperti, di libertà... Penso che il Presidente Calderón sia stato eletto, ma credo che Chávez abbia avuto qualcosa a che fare con questo..."
Senza contare la partecipazione di Corina Machado al colpo di stato del 2002 (si potrebbe dire che sia avvenuto due decenni fa, e ognuno può correggerlo strada facendo), i suoi ultimi appelli pubblici, nel 2025, per un'invasione militare statunitense del Venezuela, l'hanno esclusa da qualsiasi Premio Nobel per la Pace.
L'invasione del Venezuela, a lungo desiderata, la brutalità imperialista, supportata dalla classica servitù dei colonizzati privilegiati, avrebbe causato migliaia di morti, ma se non fosse stato per una guerra civile o una nuova Palestina da dissanguare con bombardamenti successivi e "accordi di pace" strategici.
Persino Henrique Capriles si oppose a questa richiesta. Mentre Corina Machado bussava alle porte del Pentagono, a fine agosto Capriles riconobbe un concetto di semplice buon senso: "la maggior parte di coloro che vogliono un'invasione statunitense non vive in Venezuela". Non così Juan Guaidó; tutti sanno che è un mercenario a buon mercato, e nemmeno i venezuelani della Florida lo vogliono.
Se avessero voluto assegnare un premio a un membro dell'opposizione in Venezuela, è abbastanza ovvio che ci fossero molti altri venezuelani comuni che combattevano legittimamente per le proprie convinzioni e senza finanziamenti stranieri o di grosse somme di denaro. Se avessero voluto intervenire nella politica venezuelana in modo meno osceno, avrebbero potuto prendere in considerazione l'idea di farsi finanziare per un po' dai soldi del Premio Nobel. Ma no, doveva essere Corina Machado.
Sembra abbastanza ovvio che il petrolio, la "cattiva benedizione" del Venezuela, sia il fattore centrale in tutto questo. Proprio come Trump uccide sconosciuti venezuelani nei Caraibi, cercando di distrarre il popolo americano e fornire una scusa per invadere il Venezuela, premiano una figura ben nota che invoca l'invasione. Non le assegnano il Premio Nobel per l'Economia, ma il "Premio Nobel per la Pace". Queste esecuzioni sommarie a la piacimento, senza un giusto processo, sono state applaudite da Corina Machado. Su Fox News, le ha definite "coraggio e chiarezza di fronte a un'impresa criminale che porta miseria al nostro popolo e destabilizza la regione per danneggiare gli Stati Uniti".
Certo, cosa ci si può aspettare da un premio, più famoso che prestigioso, che ha onorato storici genocidi come Henry Kissinger e angeli come Obama, che, sorridendo, ha bombardato tutto ciò che si muoveva in Medio Oriente, un record che include di tutto, dai bambini massacrati dai droni alla distruzione della Libia, un paese con uno sviluppo notevole e un pericoloso movimento indipendentista. Sempre in nome della democrazia e della libertà, che oggi negli Stati Uniti non vengono più nemmeno rispettate nei discorsi.
È tutto molto surreale, ma in definitiva logico  

https://www.pagina12.com.ar/864819-nobel-de-la-paz-para-una-opositora-venezolana
Pur sostenendo lo schieramento di navi da guerra statunitensi nei Caraibi il Premio Nobel per la Pace alla leader dell'opposizione venezuelana Corina Machado
I critici si chiedono se il premio, lungi dal promuovere la pace, venga utilizzato come strumento politico per promuovere gli interessi di potenze straniere.
Venerdì il Comitato Norvegese ha assegnato il Premio Nobel per la Pace alla leader dell'opposizione venezuelana María Corina Machado, sostenendo che si è impegnata a promuovere i diritti e le libertà in Venezuela sotto l'attuale presidente, Nicolás Maduro. Tra i critici c'è l'idea che il riconoscimento legittimi l'ingerenza delle élite straniere e che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump lo meritasse maggiormente per il suo ruolo di mediatore in vari conflitti, tra cui la guerra nella Striscia di Gaza.
Machado ha celebrato il premio sui social media e lo ha dedicato a Trump per il suo sostegno alla causa dell'opposizione nel paese sudamericano, che sostiene che ci siano stati brogli nelle elezioni presidenziali tenutesi lo scorso luglio, quando l'organo elettorale ha dichiarato la vittoria di Nicolás Maduro. La leader dell'opposizione è rimasta nascosta dalla sua ultima apparizione pubblica, il 9 gennaio, quando guidò una protesta a Caracas per difendere la presunta vittoria di González Urrutia, alla vigilia dell'insediamento del leader chavista per il terzo mandato consecutivo.
Il Premio Nobel arriva nel mezzo della crisi legata allo schieramento di navi da guerra statunitensi nei Caraibi, che Maduro denuncia come un assedio. Washington presenta queste operazioni come operazioni antidroga e accusa Maduro di guidare un cartello della droga. Machado sostiene queste manovre militari.
Il premio verrà assegnato il 10 dicembre a Oslo e consiste in una medaglia d'oro, un diploma e 1,2 milioni di dollari. L'ex candidata alla presidenza succede alla principale associazione giapponese delle vittime della bomba atomica, nota come Nihon Hidankyo. L'Istituto Norvegese ha registrato un totale di 338 candidature quest'anno, 244 delle quali da parte di singoli individui e 94 da parte di organizzazioni. "Un alleato delle élite finanziarie"
Mentre i paesi dell'Europa occidentale e il presidente argentino Javier Milei si congratulavano con Machado, tra coloro che criticavano il premio c'era l'ex presidente honduregno Manuel Zelaya Rosales. "Il Premio Nobel per la Pace assegnato a María Corina Machado è un affronto alla storia e ai popoli che lottano per la propria sovranità. Assegnare il premio a un golpista, un alleato delle élite finanziarie e di interessi stranieri, sta trasformando il simbolo della pace in uno strumento del colonialismo moderno", ha dichiarato Zelaya in un messaggio pubblicato sui suoi social media.
Il marito e consigliere principale dell'attuale presidente honduregno Xiomara Castro ha messo in dubbio il riconoscimento del più alto premio internazionale per la pace a una figura che, a suo dire, ha fomentato il conflitto contro il suo stesso popolo. "Non c'è mai pace quando vengono premiati coloro che promuovono sanzioni, blocchi e guerre economiche contro il proprio popolo", ha sottolineato Zelaya, rovesciato nel 2009 in seguito a un colpo di stato.
Allo stesso modo, l'Osservatorio del Pensiero Strategico per l'Integrazione Regionale (OPEIR) ha respinto l'assegnazione del Premio Nobel per la Pace a Machado, considerandola un'operazione simbolica che premia l'ingerenza e normalizza la pressione esterna sulle nazioni sovrane. "Questo atto fa parte di un modello globale in cui alcuni premi funzionano come strumenti di allineamento, dividendo tra governi 'simpatizzanti' e 'non simpatizzanti' con gli interessi dei principali centri di potere", ha affermato l'organizzazione in una nota. "La pace diventa così un'etichetta manipolata, usata per plasmare l'immagine, condizionare le agende interne e disciplinare progetti politici che non piacciono all'Occidente", ha osservato.
OPEIR ha anche sottolineato che Machado è colpevole dell'intensificazione delle sanzioni e dell'intervento statunitense in Venezuela. "Per la popolazione, queste richieste si traducono in difficoltà quotidiane: inflazione importata dovuta alle restrizioni finanziarie, aumento dei prezzi dei beni di consumo essenziali, calo del reddito reale ed erosione della capacità dello Stato di sostenere le politiche sociali", ha spiegato. "Non c'è pace possibile quando la vita delle persone viene usata come leva. Una leadership che chiede più punizioni economiche e protezione esterna non può incarnare l'ideale di pace democratica", ha affermato.
Il canale venezuelano TeleSUR ha citato qualche settimana fa uno studio dell'istituto di sondaggi Datanálisis, secondo cui il ruolo di Machado come leader dell'opposizione è respinto dal 64,6% dei cittadini del paese caraibico. Secondo il sondaggio, il malcontento è principalmente legato alla posizione del leader sul processo di negoziazione nazionale, caratterizzato dall'adesione all'agenda politica statunitense e dal rifiuto dei dialoghi promossi dal governo venezuelano.
Da parte sua, Steven Cheung, consigliere del presidente degli Stati Uniti Donald Trump e direttore della comunicazione della Casa Bianca, ha accusato il Comitato norvegese per il Nobel di anteporre la politica alla pace non assegnando il premio al presidente americano. "Il Comitato per il Nobel ha dimostrato di anteporre la politica alla pace", ha scritto in un messaggio sul canale X. "Il presidente Trump continuerà a stipulare accordi di pace, porre fine alle guerre e salvare vite umane. Ha un cuore umanitario e non ci sarà mai nessuno come lui in grado di spostare montagne con la sola forza di volontà", ha aggiunto Cheung.
Anche il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si è lamentato del fatto che il premio sia stato assegnato a María Corina Machado al posto di Trump. "Il Comitato per il Nobel parla di pace. Il presidente Donald Trump la rende possibile. I fatti parlano da soli. Il presidente Trump se lo merita", ha scritto l'ufficio del primo ministro israeliano sul suo account social X. Il messaggio di Netanyahu si riferisce all'accordo di pace promosso da Trump per la Striscia di Gaza, che prevede un cessate il fuoco e lo scambio di ostaggi con prigionieri palestinesi, entrato in vigore questo venerdì.

Trump, che ha ripetutamente sottolineato l'opportunità della sua candidatura al Nobel, intendeva che questo nuovo accordo si aggiungesse alle altre sette guerre che il presidente afferma di aver risolto: Cambogia-Thailandia, Kosovo-Serbia, Repubblica Democratica del Congo-Ruanda, Pakistan-India, Israele-Iran, Egitto-Etiopia e Armenia-Azerbaigian.
Il presidente russo Vladimir Putin ha affermato che Trump ha fatto molto per risolvere i conflitti attuali. "Non sono io a decidere se l'attuale presidente degli Stati Uniti meriti o meno un Premio Nobel, ma fa davvero molto per risolvere crisi complesse che durano da decenni", ha dichiarato in una conferenza stampa a Dushanbe. "Si sta sicuramente impegnando, lavorando. L'esempio più chiaro è la situazione in Medio Oriente", ha insistito.
Allo stesso tempo, il leader del Cremlino ha osservato che ci sono stati casi in cui il Comitato ha assegnato il Premio Nobel per la Pace a persone che non hanno fatto nulla per la pace. "A mio parere, queste decisioni hanno notevolmente danneggiato il prestigio del premio", ha sottolineato.
Sulla stessa linea, il presidente bielorusso Alexander Lukashenko si è scagliato contro il Comitato per il Nobel per aver assegnato il premio a Machado. "Questa è una totale assurdità. Trump merita il Premio Nobel", ha affermato in dichiarazioni al servizio stampa della presidenza bielorussa. "Ricordate il presidente degli Stati Uniti (Barack Obama), a cui è stato assegnato il premio per non aver fatto nulla, appena entrato in carica. Trump non ha fatto nulla per la pace. Hanno reso un disservizio al processo di pace. A tutti loro. Trump potrebbe offendersi", ha aggiunto.
 

SUL PREMIO NOBEL ALLA VENEZUELANA DI FEDE TRUMPIANA 

Eccovi di seguito tre articoli sulla Machado tradotti da LA JORNADA quotidiano messicano molto progressista

Caracas. La carriera di María Corina Machado, che per anni ha invocato l'intervento militare nel suo Paese, è lontana dai postulati del Premio Nobel per la Pace.

L'assegnazione del Premio Nobel per la Pace 2025 alla leader anti-Chavez María Corina Machado ha suscitato polemiche. Secondo il testamento di Alfred Nobel, il suo creatore, il premio dovrebbe essere assegnato "a coloro che durante l'anno precedente si sono impegnati maggiormente o meglio per la fratellanza tra le nazioni, l'abolizione o la riduzione degli eserciti esistenti e la conclusione e la promozione di accordi di pace". Ma la carriera di Machado rende quantomeno necessario allinearsi a questa affermazione.
María Corina Machado Parisca è una delle figure dell'ala più conservatrice ed estremista dell'opposizione venezuelana. Per anni ha avuto scarsa influenza nelle successive coalizioni di partiti che hanno cercato con vari mezzi di porre fine alla Rivoluzione Bolivariana dal 1999.
Nel 2024, ha acquisito rilevanza sulla scena politica venezuelana di fronte alla dispersione e al disordine lasciati dai partiti di opposizione dopo il fallimento del loro piano di imporre un "governo parallelo" sotto Juan Guaidó tra il 2019 e il 2023.
Si è presentata come pre-candidata alla presidenza per le elezioni del luglio 2024 in primarie autogestite da un settore della destra venezuelana, nonostante avesse perso i diritti politici dopo essere stata interdetta dalle cariche pubbliche dal Controllore Generale della Repubblica e dall'Ufficio di Giustizia, a seguito di un ricorso da lei stessa presentato. Questo l'ha costretta a cedere la sua candidatura a Edmundo González, un ex diplomatico poco noto che alla fine ha perso le elezioni contro Nicolás Maduro.
Prima e dopo le elezioni, il governo ha denunciato che il partito Vente Venezuela, guidato da Machado, stava tentando di generare un clima di caos nel paese attraverso atti di sabotaggio e terrorismo. Ciò ha provocato violente manifestazioni nei giorni successivi alle elezioni presidenziali, in cui sono stati attaccati edifici pubblici e appiccati incendi in diverse città.
In seguito all'annuncio del Comitato Norvegese per il Nobel, Machado ha dichiarato che il premio è "un fermo appello affinché la transizione verso la democrazia in Venezuela venga attuata immediatamente". Con questa "transizione" non si riferisce a un processo di dialogo politico, ma piuttosto alla sua fiducia che il governo degli Stati Uniti porterà avanti un'aggressione militare contro il Venezuela dispiegando navi da guerra e aerei di stanza nei Caraibi meridionali da agosto.
Ciò è confermato dalle sue stesse parole durante un'intervista al quotidiano spagnolo El País dopo l'annuncio del Premio Nobel: "Tutti coloro che dicevano che non dovremmo costruire una minaccia credibile, che non dovremmo usare la forza come punto di partenza, beh, guardate tutto quello che sta succedendo".
Questa è stata la posizione storica di Machado per anni. Ha sistematicamente difeso l'uso della "forza" rispetto ai metodi pacifici e democratici per raggiungere l'obiettivo anti-Chavez: rimuovere Maduro dal potere.
Nel 2014, insieme a Leopoldo López e Antonio Ledezma, ha pianificato e promosso mobilitazioni violente che miravano a rovesciare il governo di Maduro bruciando strade e istituzioni, uccidendo persone e attaccando reggimenti militari.
Il bilancio di questo episodio fu di 43 venezuelani uccisi e centinaia di feriti. Questo tipo di strategia di violenza di strada, nota in Venezuela come Guarimbas, è stata ripetuta nel 2017, sempre sotto la guida di Machado e di altri alleati, con un bilancio molto più alto questa volta: circa 150 morti e migliaia di feriti.
Nell'ottobre 2018, quando il leader ha invocato la R2P (Responsabilità di Proteggere) alla "comunità internazionale", un principio dottrinale che si traduce nell'intervento militare straniero in un paese. Questa richiesta è stata aggiornata nel 2019 nell'ambito del "Piano Guaidó". Il 12 febbraio, Machado ha chiesto all'Assemblea Nazionale di approvare l'ingresso di truppe straniere sul suolo venezuelano: "Chiediamo all'Assemblea Nazionale di attivare l'articolo 187 per autorizzare l'uso di una forza multinazionale se persistono ostacoli alla distribuzione degli aiuti umanitari".
In un'intervista a Voice of America del 3 maggio di quell'anno, ha ribadito: "Le democrazie occidentali devono capire che un regime criminale lascerà il potere solo di fronte a una minaccia credibile, imminente e grave di uso della forza".
Sempre nel 2018, ha inviato una lettera a Mauricio Macri, allora Presidente dell'Argentina, e a Benjamin Netanyahu, Primo Ministro di Israele: "Oggi desidero chiedere a Israele e Argentina di contribuire con la loro competenza e influenza a un processo decisionale solido e urgente in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite".
Nel 2020, è passata a un altro strumento: il Trattato Interamericano di Assistenza Reciproca (TIAR), un meccanismo risalente all'era della Guerra Fredda. A giugno, ha pubblicato un articolo su diversi media internazionali intitolato "Venezuela: la sfida ineluttabile dell'Occidente", in cui ha chiesto "la formazione di una coalizione internazionale per dispiegare un'Operazione di Pace e Stabilizzazione in Venezuela (PSO)" e ha specificato che "idealmente, questa operazione di pace multiforme non dovrebbe essere sotto l'egida di una singola organizzazione, ma piuttosto composta da una coalizione di alleati con legittimità regionale e volontà nel quadro del TIAR".
Da quando Donald Trump ha assunto la presidenza degli Stati Uniti per la seconda volta nel gennaio 2025, Machado è stata la principale promotrice dell'intervento militare straniero in Venezuela. Ha apertamente sostenuto il dispiegamento militare di Trump nei Caraibi. In un'intervista con Fox News nell'agosto di quest'anno, Machado ha affermato che "l'amministrazione Trump sa benissimo che Maduro è a capo di un'organizzazione terroristica criminale, che espande il crimine organizzato attraverso la TDA e i cartelli della droga come il Cartello dei Soli... Ed è la principale fonte di destabilizzazione nella regione e, quindi, una minaccia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti".
Ha anche affermato che, con la mobilitazione militare ordinata da Trump e mirata al Venezuela, "penso che le cose si muoveranno molto rapidamente". Ha anche lanciato un avvertimento all'alto comando militare venezuelano, fedele a Maduro: "Avete poco tempo per decidere se schierarvi dalla parte della giustizia, del popolo e del mondo democratico, o soccombere al suo volere".
Quest'ultima affermazione non sembra provenire da qualcuno insignito di un premio che sarebbe stato concepito per coloro che lavorano per "la celebrazione e la promozione di accordi di pace".

Machado dedica a Trump il Nobel per la Pace

La vincitrice del Premio Nobel per la Pace 2025, María Corina Machado, ha lanciato una campagna nel 2023 per sfidare l'attuale presidente venezuelano Nicolás Maduro alle elezioni presidenziali del 2024.
La Corte Suprema venezuelana ha impedito a Machado di candidarsi alle elezioni presidenziali del 2024 dopo che il governo l'ha accusata di corruzione, citando il suo sostegno alle sanzioni statunitensi contro il Venezuela.
Democracy Now, attraverso il suo account X, ha raccontato alcune delle azioni più importanti di Corina: Machado si è impegnata a privatizzare l'industria petrolifera statale venezuelana, elogiando al contempo i leader latinoamericani di destra, tra cui il presidente argentino Javier Milei.
Nel 2020, il partito di opposizione di Machado, Vente Venezuela, ha firmato un accordo di cooperazione strategica con il partito israeliano Likud, guidato dal primo ministro Benjamin Netanyahu. Machado ha dichiarato che, se eletta, trasferirà l'ambasciata venezuelana in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme. Nei suoi ringraziamenti, ha rilasciato la seguente dichiarazione: "Dedico il premio al popolo sofferente del Venezuela e al Presidente (Donald) Trump per il suo decisivo sostegno alla nostra causa!"
Machado ha fatto appello a Netanyahu affinché si battesse per un cambio di regime contro Maduro, grazie alla "stretta collaborazione con l'Iran".
L'oppositore venezuelano María Corina Machado, oggi vincitrice del Premio Nobel per la Pace, aveva precedentemente chiesto al Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu il suo sostegno nella promozione di un'azione internazionale contro il "regime" del Presidente venezuelano Nicolás Maduro.
All'epoca aveva avvertito che il governo venezuelano "tiene in ostaggio" i poteri governativi del suo Paese, smascherando così la sua "stretta collaborazione con l'Iran e i gruppi estremisti". Sottolinea che questa situazione colpisce direttamente anche Israele e il continente americano, ricordando gli attacchi avvenuti a Buenos Aires, come quello all'AMIA nel 1994.
In una lettera pubblicata sui suoi social media nel 2018, Machado ha fatto riferimento al rapporto presentato il 29 maggio 2018 dall'Organizzazione degli Stati Americani (OSA) alla Corte Penale Internazionale, che denuncia attacchi sistematici e diffusi contro la popolazione venezuelana. Apprezza in particolare il sostegno dell'Argentina, uno dei nove Paesi che hanno appoggiato l'iniziativa.
Ha esortato Netanyahu e l'allora presidente argentino Mauricio Macri a usare la loro influenza ed esperienza per promuovere misure efficaci presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per proteggere la popolazione venezuelana, tra cui la pressione per un cambio di regime nel Paese.

María Corina Machado, premio Nobel de la Paz 2025

La leader dell'opposizione venezuelana María Corina Machado ha vinto venerdì il Premio Nobel per la Pace 2025.
L'ex candidata alla presidenza del Venezuela è stata elogiata per essere stata una "figura chiave e unificante in un'opposizione politica precedentemente profondamente divisa, un'opposizione che ha trovato un terreno comune nella richiesta di elezioni libere e di un governo rappresentativo", ha affermato Jørgen Watne Frydnes, presidente del Comitato Norvegese per il Nobel.
Prima dell'annuncio, si erano diffuse le speculazioni sul fatto che il premio sarebbe stato assegnato al presidente degli Stati Uniti Donald Trump, alimentate in parte dallo stesso presidente, ma gli osservatori hanno affermato che le sue possibilità erano remote nonostante i suoi notevoli interventi in politica estera, di cui si è rivendicato il merito.
Tra i gruppi citati come possibili vincitori dall'Oslo Peace Research Institute c'erano le Sudan Emergency Response Rooms, una rete basata sulla comunità che è diventata la spina dorsale della risposta umanitaria del paese alla guerra civile; la Corte Internazionale di Giustizia e la Corte Penale Internazionale, e il Comitato per la Protezione dei Giornalisti, un gruppo con sede negli Stati Uniti che promuove la libertà di stampa e compila un elenco dei giornalisti uccisi nell'adempimento del dovere. L'anno scorso, il premio è stato assegnato a Nihon Hidankyo, un movimento di base di sopravvissuti giapponesi al bombardamento atomico che da decenni si impegna per mantenere il tabù che circonda l'uso delle armi nucleari.
Il Premio Nobel per la Pace è l'unico premio Nobel assegnato a Oslo, in Norvegia.
Quattro degli altri premi sono già stati annunciati questa settimana nella capitale svedese, Stoccolma: medicina, fisica, chimica e letteratura. Il Premio Nobel per l'Economia sarà annunciato lunedì.

 

  

martedì 7 ottobre 2025

 

LETTERA APERTA ai giornalisti sulla grande

sottostima dei morti e dei feriti gravi a Gaza

di Ralph Nader

New York Times:

Patrick Kingsley

Aaron Boxerman

Isabel Kershner

Adam Rasgon

Natan Odenheimer

Ronen Bergman

Direttore internazionale: Philip P. Pan

Washington Post:

Louisa Loveluck

Shira Rubin

Abbie Cheeseman

Miriam Berger

Gerry Shih

John Hudson

Redattore associato: Karen DeYoung

Wall Street Journal:

Redattore notizie estere: James Hookway

The American Prospect:

Direttore, David Dayen

Dropsite News::

Ryan Grim

Jeremy Scahill

The New Yorker:

Direttore, David Remnick

Siete tra i principali giornalisti e redattori che hanno seguito il genocidio di massa e il caos

di Gaza perpetrato da Netanyahu. Questo importante appello afferma che tutti voi sapete

che è meglio non basarsi solo sulla sottovalutazione generalizzata dei morti e dei feriti gra-

vi proposta da Hamas. Dovete FARE DI MEGLIO per i vostri lettori, approfondendo le sti-

me molto più elevate dei decessi fornite dagli esperti in vittime di disastri. Resoconti di te-

stimoni oculari che non supportano la sottostima di Hamas.

Sia Hamas che Netanyahu, per ragioni diverse, favoriscono la sottostima. Hamas, l'entità

governativa di Gaza, mantiene un conteggio rigorosamente sottostimato delle vittime dei

bombardamenti israeliani, non contando le ingenti vittime secondarie immediate dovute

agli effetti del blocco israeliano di cibo, acqua, medicine, assistenza sanitaria, elettricità,

carburante e forniture mediche per ciò che resta degli ospedali e delle cliniche distrutte.

Un conteggio ufficiale sottostimato da parte del Ministero della Salute di Hamas, i cui

quindici contatori sono ora a loro volta affamati, attenua le accuse della popolazione di

Gaza e dei suoi alleati secondo cui Hamas non li ha protetti, nemmeno condividendo i rifu-

gi antiaerei. Hamas ha gravemente sottovalutato la totale ferocia della risposta israeliana

all'attacco del 7 ottobre attraverso il complesso di sicurezza di confine israeliano a più livel-

li, misteriosamente crollato. Hamas è caduta in una trappola mortale, spinta dal timore

che un accordo quasi raggiunto tra Stati Uniti, Israele e gli Stati arabi del Golfo avrebbe

messo definitivamente da parte la questione palestinese.Da giornalisti sensibili, probabilmente concorderete sul fatto che il conteggio sia significa-

tivo. Come ha spesso affermato Karen DeYoung, direttrice degli Affari Esteri del Washing-

ton Post , "...Israele non consente ai media indipendenti di entrare a Gaza e il numero delle

vittime è certamente sottostimato".

In migliaia di articoli di giornale, c'è esattamente lo stesso riferimento obbligatorio, vale a

dire: "Più di X numeri di palestinesi sono stati uccisi a Gaza dall'inizio della guerra, secon-

do il Ministero della Salute di Hamas". Questa grave sottostima diventa il numero delle vit-

time riportato, nonostante i bombardamenti quotidiani incessanti di Israele su Gaza.

Di conseguenza, a differenza di altri conflitti armati nel mondo, la notevole sottostima di

morti e feriti a Gaza è una notizia ampiamente sottostimata. Arrivare a stime più accurate

influenzerebbe l'intensità delle pressioni politiche, diplomatiche e civili per un cessate il

fuoco. Ciò stimolerebbe anche richieste più insistenti di aiuti umanitari immediati, di un

cessate il fuoco immediato e di negoziati di pace.

Cominciamo dal buon senso. Gaza contava 2,3 milioni di abitanti prima del 7 ottobre 2023,

in un'area angusta delle dimensioni geografiche di Filadelfia. La Striscia di Gaza ha subito

il bombardamento quotidiano più intenso su civili e infrastrutture civili dalla Seconda

Guerra Mondiale. Non ci sono basi militari o aeroporti a Gaza, solo una piccola forza di

guerriglia sottoarmata nascosta nei tunnel di fronte a un esercito supermoderno sostenuto

da armi militari statunitensi supermoderne e da altri aiuti di Biden/Trump.

A metà aprile 2025, il professore emerito Paul Rogers dell'Università di Bradford (Regno

Unito), esperto di devastazione causata da bombe aeree e di artiglieria, ha descritto il livel-

lo di distruzione nella Gaza totalmente assediata come "l'equivalente di sei Hiroshima, ma

ancora più distruttivo", perché molte più bombe su Gaza cadono su luoghi presi di mira:

scuole, condomini, ospedali, cliniche, mercati, accampamenti profughi, strade, condutture

idriche, circuiti elettrici e persino aree agricole, impedendo alla popolazione di Gaza di col-

tivare parte del proprio cibo. Fame, morte per incendi incontrollati, infezioni e migliaia di

bambini nati tra le macerie ogni mese contribuiscono ad aumentare vertiginosamente il bi-

lancio giornaliero delle vittime.

Ora, se si considera l'attuale cifra di Hamas di poco più di 62.000, si sta dicendo all'opinio-

ne pubblica che il 97% degli abitanti di Gaza è ancora vivo. Questo è mortalmente assurdo.

Una cifra più prudente è che 500.000 palestinesi sono stati uccisi dall'incessante Olocau-

sto palestinese di Netanyahu (più di tutti i soldati statunitensi uccisi nella Seconda Guerra

Mondiale). Ciò significa che, incredibilmente, circa un palestinese su quattro è stato ucciso.

Medici americani e altri operatori sanitari tornati da Gaza affermano che quasi tutti i so-

pravvissuti sono malati, feriti o morenti. Senza insulina, farmaci per il cancro, l'asma e le

malattie cardiache per molti mesi, senza rifugi, con inquinanti atmosferici densi e letali,

dovuti ai bombardamenti incessanti, le loro osservazioni non sono sorprendenti.

Quindi, giornalisti e redattori, iniziate a lavorare su stime delle vittime che riflettano

accuratamente la realtà, oltre a rispettare i morti palestinesi e a sottolineare adeguatamen-

te il ruolo di Trump/Congresso in questo massacro. Immaginate se la situazione fosse ca-

povolta: qualcuno pensa che una tale sottostima sarebbe tollerata fin dall'inizio?

Il Dipartimento di Stato ha testimoniato alla fine del 2023 che le sue stime erano superiori

a quelle di Hamas e il testimone, un assistente segretario di Stato, è stato escluso da ulte-

riori rivelazioni. Il contenzioso FOIA, pendente dinanzi ai dipartimenti statali di Biden e

Trump, si scontra con il solito ostruzionismo che questo dipartimento conduce da tempo.

Esistono fonti attendibili da consultare tra università, organizzazioni umanitarie interna-

zionali e agenzie umanitarie e per l'alimentazione delle Nazioni Unite. Specialisti (ad esem-

pio, il Dipartimento di Salute Globale dell'Università di Edimburgo, The Lancet, ecc.) si

sono espressi o hanno pubblicato rapporti sulla sottostima. Rendere noto il lavoro di questi

e altri specialisti contribuirà a tutelare il diritto del pubblico a essere informato.

Il Dott. Feroze Sidhwa, volontario presso l'ospedale di Gaza, ha raccolto molte di queste

fonti ed è raggiungibile tramite il sito web gazahealthcareletters.org . I suoi articoli per il

New York Times e altre pubblicazioni e media elettronici affermati sono avvincenti e riflet-tono la realtà sul campo a Gaza. (Vedi la mia lunga intervista con il Dott. Sidhwa su Ralph

Nader Radio Hour, in uscita il 16 agosto 2025).

Grazie per aver preso in considerazione l'importanza fondamentale della vostra professio-

ne.

Ralph Nader

Un club di cui nessuno avrebbe voluto far parte: le famiglie degli americani uccisi da Israele affrontano una dura scalata verso la giustizia.

(https://www.theguardian.com/world/2025/oct/06/americans-killed-israel-military)

Alice Speri 6 Ottobre 2025

Decine di cittadini americani sono stati uccisi da Hamas e Israele, ma il governo degli Stati Uniti ha adottato un approccio molto diverso nei confronti di quest'ultimo.

Poche ore dopo aver appreso che Ayşenur Ezgi Eygi era stata uccisa da un cecchino israeliano durante una protesta in Cisgiordania l'anno scorso, la sua famiglia ha parlato al telefono con i genitori di Rachel Corrie, un'attivista di 23 anni che è stata schiacciata a morte da un bulldozer dell'esercito israeliano a Gaza più di vent'anni fa.


Le famiglie sono state presentate da un contatto comune nello stato di Washington, dove sia Corrie che la 26enne Eygi avevano vissuto. C'erano altri parallelismi nelle loro storie: Corrie stava protestando contro la demolizione della casa di una famiglia palestinese a Rafah quando un soldato l'ha investita; Eygi era a una protesta contro l'espansione degli insediamenti vicino a Nablus. Entrambe si erano recate nella regione con l'International Solidarity Movement, un gruppo che da anni porta attivisti stranieri a schierarsi al fianco dei palestinesi contro l'occupazione israeliana. Un'indagine militare israeliana ha concluso che era "altamente probabile" che Eygi fosse stata colpita "indirettamente e involontariamente dal fuoco delle IDF, che non era diretto a lei"; l'esercito israeliano ha affermato che la morte di Corrie è stata un incidente e che lei ne era responsabile.


Cindy e Craig Corrie si sono fermati in un'area di servizio autostradale quando hanno ricevuto la chiamata. "Non c'è molto che si possa dire a qualcuno", ha detto Cindy al Guardian in un'intervista, ricordando la sua prima conversazione con i genitori di Eygi. "Ho detto loro che tutto quello che stavo cercando di fare era abbracciarli al telefono."

Dall'omicidio di Rachel Corrie nel 2003, si sa che circa una dozzina di cittadini statunitensi sono morti per mano di soldati o coloni israeliani, o mentre erano sotto custodia israeliana. Almeno sei sono stati uccisi solo in Cisgiordania dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023 e la successiva guerra di Israele a Gaza.


Più di 40 cittadini statunitensi sono stati uccisi da Hamas in Israele il 7 ottobre 2023, o dopo essere stati presi in ostaggio a Gaza. In quei casi, il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha avviato indagini e ha presentato accuse di terrorismo contro i leader di Hamas ritenuti responsabili, con il Procuratore Generale, Merrick Garland, che ha promesso che il governo degli Stati Uniti avrebbe indagato "su ognuno dei brutali omicidi di americani da parte di Hamas".


Ma quando si tratta di omicidi da parte delle forze armate israeliane, il governo degli Stati Uniti ha sempre rimandato alle indagini dell'esercito israeliano, che i gruppi israeliani per i diritti umani hanno condannato per anni come un "insabbiamento". I gruppi per i diritti umani hanno scoperto che le forze armate israeliane non vengono quasi mai ritenute responsabili dal sistema giudiziario israeliano quando danneggiano i palestinesi.


Ad oggi, nessuno è stato incriminato o ritenuto responsabile per le morti di cittadini statunitensi per mano israeliana. Un portavoce del Dipartimento di Stato ha dichiarato in una dichiarazione al Guardian che il dipartimento offre assistenza consolare alle famiglie dei cittadini uccisi all'estero; si è rifiutato di commentare i singoli casi citando "privacy e altre considerazioni". Il portavoce ha inoltrato domande sulle indagini sulle uccisioni di cittadini statunitensi al Dipartimento di Giustizia. Un portavoce del Dipartimento di Giustizia ha rifiutato di rispondere a un elenco dettagliato di domande del Guardian, citando la chiusura delle attività governative.

Il mese scorso, i Corrie si sono uniti a un gruppo unito dal dolore e dalla determinazione per una serie di incontri a Washington DC per chiedere al governo degli Stati Uniti di indagare sulle uccisioni dei loro cari. La sorella di Eygi, Özden Bennett, e suo marito, Hamid Ali, erano presenti. Lo stesso valeva per i padri di Tawfic Abdel Jabbar, un diciassettenne della Louisiana che è stato colpito da almeno 10 colpi di arma da fuoco mentre guidava la sua auto in Cisgiordania nel 2024, e di Sayfollah Musallet, un ventenne della Florida che, secondo alcuni testimoni, è stato picchiato a morte da coloni israeliani a luglio. (Israele sostiene che Jabbar fosse sospettato di aver lanciato pietre, una versione smentita da un'indagine dell'organizzazione israeliana per i diritti umani B'Tselem. Dopo l'uccisione di Musallet, la polizia israeliana ha arrestato tre coloni, ma in seguito li ha rilasciati. La polizia israeliana non ha risposto alle richieste di commento. Un portavoce delle IDF ha affermato che è in corso un'indagine sull'incidente.)

Kamel Musallet, il padre di Sayfollah, ha raccontato ai parlamentari che suo figlio, proprietario di una gelateria di Tampa che si era recato in Cisgiordania per far visita alla famiglia, si vantava spesso con gli amici del suo passaporto "blu". "Diceva sempre: 'Non preoccupatevi, siamo americani'", ha detto Musallet. "Si sentiva più sicuro."

Ma a quanto pare la cittadinanza americana offre poca protezione. Musallet è stato ucciso ad al-Mazra'a ash-Sharqiya, un villaggio relativamente ricco a nord di Ramallah, che ospita una popolazione di palestinesi americani così numerosa che alcuni hanno iniziato a chiamarlo la "Miami della Cisgiordania".

Una delle prime persone a raggiungere il suo corpo è stato Hafeth Jabbar, il padre di Tawfic. "Questo è ciò con cui abbiamo a che fare ogni giorno", ha detto Jabbar alla deputata del Massachusetts Ayanna Pressley durante una riunione. Sul suo telefono, le ha mostrato video di coloni che attaccavano la sua terra e una foto di uno degli uomini che, secondo lui, hanno sparato a suo figlio. "Siamo in un clima che non vede l'umanità delle persone."

Durante una cena privata in un ristorante balcanico, prima di tre giorni di incontri con i legislatori, le famiglie si sono unite nel dolore condiviso e nel timore che la morte dei loro cari rimanesse impunita e che l'impunità avrebbe portato a ulteriori omicidi. Ali, il marito di Eygi, ha ricordato con un sorriso che, quando aveva parlato per la prima volta con i Corrie, Craig aveva definito le famiglie un "club esclusivo di cui nessuno voleva far parte".

Gli incontri – con oltre una dozzina di membri del Congresso e senatori – insieme a una conferenza stampa a Capitol Hill a cui hanno partecipato diversi legislatori, hanno evidenziato un graduale cambiamento di atteggiamento del Congresso nei confronti di Israele negli ultimi due anni: un riflesso misurato di un cambiamento più radicale nella società americana in senso più ampio. In un editoriale pubblicato pochi minuti prima di incontrarsi con le famiglie, Bernie Sanders del Vermont è diventato il primo senatore statunitense ad accusare Israele di aver commesso un genocidio a Gaza. E pochi giorni dopo l'incontro con loro, il senatore Jeff Merkley dell'Oregon, insieme a diversi colleghi, ha presentato una risoluzione che chiede al governo statunitense di riconoscere uno Stato palestinese – un'altra novità. Mentre Gaza è stata più in primo piano nei titoli dei giornali, anche la violenza dei militari israeliani e dei coloni in Cisgiordania è aumentata dal 7 ottobre, con più palestinesi uccisi negli ultimi due anni che in qualsiasi altro momento dalla seconda intifada, nei primi anni 2000.

"Dal terribile attacco di Hamas del 7 ottobre, c'è stato un massiccio aumento delle molestie dei coloni contro i palestinesi in Cisgiordania: bloccando l'accesso all'acqua, ai vigneti e agli uliveti, e minacciando e aggredendo gli abitanti dei villaggi palestinesi mentre svolgono le loro attività quotidiane", ha dichiarato Merkley in una dichiarazione al Guardian dopo un incontro con le famiglie e il senatore Chris Van Hollen del Maryland, con il quale si è recentemente recato in Cisgiordania.

Un uomo mostra i video di una donna sul suo telefono nel suo ufficio al Congresso.

Kamel Musallet mostra ad Ayanna Pressley i video degli attacchi dei coloni sulla sua terra.

"Questa crescente violenza è inaccettabile, così come la mancanza di giustizia per queste famiglie da parte del governo Netanyahu", ha aggiunto Merkley. "In quanto stretto alleato di Israele, il governo degli Stati Uniti deve fare di più per garantire che le persone colpite si assumano le proprie responsabilità".

Sebbene i cambiamenti al Congresso siano stati impercettibili e il sostegno del governo statunitense a Israele rimanga sostanzialmente invariato, il cambiamento nell'opinione pubblica è stato più significativo. Secondo un recente sondaggio del Pew Research Center, più della metà degli adulti statunitensi ha un'opinione negativa di Israele, rispetto al 42% registrato prima dell'inizio della guerra.

"Eccoci di nuovo qui"

Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti può esercitare la giurisdizione sulle uccisioni di cittadini statunitensi all'estero, ma normalmente lo fa con il consenso e l'assistenza delle autorità del Paese interessato. È raro che civili statunitensi all'estero vengano uccisi dalle forze di sicurezza di uno Stato. Israele è diventata un'eccezione.

"Quando degli americani vengono uccisi all'estero, è una procedura standard per il nostro governo statunitense aprire un'indagine", ha dichiarato la deputata Rashida Tlaib alla conferenza stampa delle famiglie. "Ma quando gli assassini indossano uniformi israeliane, c'è un silenzio assoluto. Non solo, chiedono al governo che ha commesso il crimine di condurre l'indagine".

I Corrie hanno trascorso anni dopo l'omicidio di Rachel cercando di convincere il governo statunitense ad aprire un'indagine indipendente, facendo pressioni sui legislatori durante innumerevoli viaggi nella capitale, in una vana crociata che ho documentato qualche anno fa. Dopo aver perso una battaglia legale durata anni contro il governo israeliano e un'altra negli Stati Uniti contro il produttore di bulldozer Caterpillar, la famiglia alla fine si è arresa. Hanno ripreso la loro attività di advocacy dopo l'uccisione, nel 2022, della giornalista Shireen Abu Akleh, colpita alla testa mentre stava facendo un reportage nella città di Jenin, in Cisgiordania. Le Forze di Difesa Israeliane si sono scusate per l'omicidio.

La morte di Abu Akleh è l'unica uccisione di un cittadino statunitense da parte delle forze israeliane per la quale si ritiene che l'FBI abbia avviato un'indagine formale. (Sebbene l'FBI abbia interrogato dei testimoni, secondo alcune fonti, il Dipartimento di Giustizia statunitense non ha mai confermato pubblicamente l'esistenza dell'indagine, che sembra essere in stallo.)

Un ragazzino in piedi con le braccia incrociate davanti alla moschea di al-Aqsa

Nei loro incontri con i parlamentari, le famiglie hanno ripetutamente sottolineato la risposta del governo statunitense all'uccisione di cittadini americani negli attacchi del 7 ottobre, lamentando i doppi standard e avvertendo che la continua impunità avrebbe praticamente garantito ulteriori omicidi. Si sono anche uniti attorno alla richiesta che i legislatori statunitensi esercitino maggiori pressioni su Israele affinché rilasci Mohammed Ibrahim, un ragazzo palestinese americano di 16 anni – cugino di Sayfollah Musallet – detenuto in una prigione militare israeliana da oltre sette mesi per accuse di lancio di pietre.

"Se ci fosse stata qualche responsabilità nel caso di Rachel, alcune di queste famiglie non sarebbero qui", ha dichiarato Cindy Corrie in un incontro con il senatore Peter Welch del Vermont. "Eppure, eccoci di nuovo qui", ha aggiunto il marito.

Prendendo un tè in una mensa del Congresso, Cindy Corrie ha affermato di aver cercato di essere "onesta" sulla strada da percorrere parlando con gli Eygis. Se la storia è indicativa, le loro richieste di giustizia potrebbero non portare a nulla.

Ma ha anche riconosciuto un cambiamento percettibile, sia in Parlamento che fuori. "Il clima nel 2003 su questo tema era molto diverso", ha detto. Nei loro primi incontri al Congresso, ricordano i Corrie, si presentavano spesso negli uffici del Congresso con mappe che mostravano dove si trovava Gaza. Pochi legislatori erano disposti a criticare pubblicamente Israele all'epoca, e alcuni erano sprezzanti nei confronti dei Corrie e persino ostili.

Ora le cose sono diverse: a pochi giorni dall'omicidio di Eygi, più di 100 legislatori hanno chiesto all'amministrazione Biden di avviare un'indagine indipendente. A Washington, il marito di Eygi è stato fermato in un ristorante messicano da una donna che indossava una kefiah e che ha riconosciuto l'attivista su una spilla che indossava. Anche una guardia di sicurezza di uno degli edifici del Congresso dove la famiglia ha incontrato i legislatori ha riconosciuto Eygi su una spilla che indossava sua sorella.

"Mi dispiace per la tua perdita. Spero che ti ascoltino", le disse. Lei gli porse una spilla.


 

domenica 4 febbraio 2018

LO STATO DI QUESTO STATO. Per l'ennesima volta

Mentre si ripetono appelli melensi ed ipocriti, Di Maio e Renzi tra i primi, a non speculare politicamente sulla terribile vicenda di Macerata, la "speculazione" dei politicanti non conosce soste. Tutta la stampa sottolinea l'estrema marginalità dello stragista. Emarginato financo dai "suoi". Quando si candidò alle amministrative non prese neppure un voto. Da ridere se non ci fosse da piangere. Come ho già scritto, ripetendo quello che ho letto sui quotidiani, la vita di Luca Traini non è stata una vita invidiabile. Per certi versi simile a quella dei suoi bersagli, degli oggetti del suo odio. Così, a distanza, mi fa perfino compassione. Ma le tirate dei Salvini, dei Calderoli, dei Buonanno (che è andato all'inferno sua sponte), mica son rivolte solamente a gente ben inserita. A quella chiedono il voto. Le squadracce fasciste mica eran fatte da giovani di sicuro avvenire. Eran gruppi di avventurieri, che della propria marginalità facevano un vanto. Gli "anti-borghesi" da operetta proteggevano la società dei borghesi privilegiati, mica difendevano il proletariato. ME NE FREGO era solo un atteggiamento da palcoscenico. La maggior parte di loro, a parte Starace, davanti ai plotoni di esecuzione dei partigiani tremava e piagnucolava. Niente di male, niente di strano, se non lo avessero fatto persone che sulle lacrime delle proprie vittime ci avevano pisciato sopra. E LO STATO CREATO DA QUESTA GENTAGLIA CE LO SIAMO RITROVATO PARI, PARI (etichettato ed impacchettato con la carta costituzionale ed infiocchettato con il nastro della repubblica) A GUERRA FINITA. CE LO HANNO IMPOSTO GLI ANGLO-USA E LA GUERRA FREDDA. Questo Stato è stato governato e gestito per più di 40 anni dalla DC e dai suoi alleati È stato lo Stato de "la mafia non esiste" e delle stragi NATO che si volevano attribuire alle sinistre. Degli scandali e delle ruberie più vomitevoli. Dei parroci, commissari di PS, marescialli dei CC, al timone di una Italia che non ho motivo di rimpiangere. OVVIAMENTE LA ROTTA DELLA NAVE NON LA TRACCIAVANO LORO. Ecco alcuni dei fattori che ci hanno portato alle brutture di oggi. Il pazzo, il folle che ha sparato è il prodotto di questo Stato. Che si chiami Luca Traini o Ciro Esposito o Piero Bruscolin non ci dice niente sulla sua genesi. Per trovarne traccia occorre lavorare con gli strumenti della storia, della sociologia, dell' analisi politica.

venerdì 23 ottobre 2015

Non sottovalutate Netanyahu

Passato qualche microsecondo di sbalordimento, ho subito cercato di capire cosa ci sia dietro questa che non è un’uscita da sottovalutare. Netanyahu non è un politicante improvvisato, una specie di Antonio Razzi, un Mario Eleno Boschi, piovuto non si bene come al governo dello Stato. Viene dalla carriera diplomatica, se non sbaglio è stato ambasciatore a Washington, ha dietro di sé studi al MIT e ad Harvard, una carriera militare
nell’antiterrorismo, NON E’ UN PIVELLO QUALSIASI. Non con questo che le azzecchi proprio tutte. Ma non è un abusivo, infilatosi lì surretiziamente. Effettivamente il calcolo non è del tutto sballato. La giustificazione con la promessa biblica di
Dio a Mosé di quella terra al popolo eletto regge solo con l’estrema destra religiosa fondamentalista. E non può essere esibita a lungo in giro per il mondo a giustificare massacri, assassini di gente disarmata, come quelli perpetrati dai coloni nei Territori Occupati, come quelli delle due aggressioni contro Gaza….come quelli a cui assistiamo in questi giorni. Siccome il progetto VERO non è di sottomettere i palestinesi ma quello di terrorizzarli e maltrattarli fino al punto da mettere in fuga la maggior parte di essi, occorre trovare
una giustificazione alta e profonda ed ecco l’ invenzione del Gran Muftì di Gerusalemme, quale ispiratore ed istigatore di Adolfo Hitler per quanto riguarda lo sterminio degli ebrei.
E ancorchè la balla sia grossa, ma grossa davvero, non è stupefacente, perchè un fondo di verità esiste. Che il nazionalismo anticoloniale arabo e musulmano non avesse radici in progetti di rivoluzione sociale ma vedesse come egemoni grande proprietà terriera e un po’ di borghesia urbana, in regioni che ancora oggi non hanno conosciuto la rivoluzione industriale, il protagonismo del moderno proletariato e delle sue organizzazioni politiche e sociali, è cosa nota a molti. Che in funzione antibritannica ed antifrancese molti simpatizzassero per i nemici
dei due imperialismi, ergo i tedeschi, è pure comprensibile. Là non c’ era un Gandhi che seppe dire di no alle avances giapponesi, che voleva una liberazione fondata su una democrazia pacifista,
nemica di ogni militarismo imperiale ed imperialista. Il filo germanesimo ed il filonazismo di taluni ambienti arabo-palestinesi non son più da decenni materia di controversia ma pacificamente
acclarati. E mettiamoci pure che se costoro avessero potuto liberarsi della minaccia sionista non avrebbero esitato a far porcate di ogni tipo. LA PARTE DELLA MENZOGNA CHE RIESCE RISIBILE E’ QUELLA DELL’ HITLER PREDA DI ESITAZIONI UMANITARIE CHE SI LASCIA CONVINCERE DA….nientepopodimenoche un grande leader di statura planetaria, IL GRAN MUFTI’ DI GERUSALEMME…UOMO CHE DOVREBBE AVER LASCIATO ORME BEN NUMEROSE E PROFONDE, OLTRE A QUESTA, NELLA STORIA DEL NOSTRO TORMENTATO PIANETA.
Ed invece no. A meno di non avere interesse e curiosità per la storia del Medio Oriente e quindi leggere libri e libri sull’argomento, il nome di Haj Amin Al-Husseini, e quello della sua famiglia,
per importanti che siano, non escono mai dai confini dello scenario della Palestina. I tedeschi poi che non vogliono essere colti in stravaganti tentativi di revisionismo delle loro chiarissime, pesantissime e tremende responsabilità nello sterminio, hanno subito provveduto a reinviare al mittente questa simpatica scenetta di Hitler riluttante allo sterminio di quel popolo da lui
sempre additato come nemico millenario della “razza ariana” e trascinato nell’abisso del crimine dal….Gran Muftì di Gerusalemme.
E ciò nonostante la faccenda è seria, resta seria e lo resterà per un
bel pezzo ancora. Nonostante siano vicini, a portata di sguardi, a portata di parola, molti componenti dei due popoli non hanno idee ben precise gli uni sugli altri. E QUESTO RENDE FACILI GLI SCOPPI INCONTROLLATI DI IRE E RABBIE SENZA NOME CHE CONTINUERANNO AD ALLUNGARE LA QUASI SECOLARE SCIA DI SANGUE, per lo più arabo-palestinese. A TUTTO QUESTO NETANYAHU VUOLE FORNIRE UNA GIUSTIFICAZIONE STORICA, DELLO STESSO GENERE DI QUELLE CHE GLI ANTISEMITI HAN SEMPRE FABBRICATO CONTRO GLI EBREI. E’ UNA SCOMMESSA.
Auguriamoci che la perda. MA TOGLIAMOCI DALLA TESTA CHE SIA UNA SCOMMESSA INSENSATA, UN AZZARDO SENZA CAPO NE’ CODA. A PARER MIO, PER QUEL NULLA CHE POSSA VALERE, NON E’ COSI’.

domenica 26 ottobre 2014

E' STATA ANCORA UNA VOLTA L'ENNESIMA PROCESSIONE, MA IL MIRACOLO NON ARRIVERA'


Caro compagno Mao,
mi dispiace dovertelo dire così chiaramente ma c’era qualcosa di sbagliato nella tua idea che quando il caos regna sotto il cielo la situazione sia eccellente.
Ieri, a Roma, una grossa manifestazione indetta da un sindacato un tempo di sinistra, ha evidenziato che in una parte del popolo italiano vi è uno stato d’animo ostile al governo (ed anche a tutte le forze politiche ed alla classe dirigente nel suo insieme).
E VORREI VEDERE CHE NO !!! Licenziamenti, chiusure di imprese, grandi e piccole, dietro le spalle anni sempre più bui, davanti un tunnel di cui non si vede la fine, difficoltà sempre crescenti a soddisfare bisogni elementari. Da quello delle cure mediche a quello di scuole decenti, alla casa, al mangiare. Del resto quando in un paese come l’Italia va a votare solamente metà della gente, qualcosa vorrà pur dire…
Ma il fatto che la gente sia profondamente scontenta della strada che gli fanno fare non significa manco per niente che abbia individuato un’altra strada, un percorso alternativo. La scontentezza, l’incazzatura, la rabbia ci sono da anni. MA LA SOCIETA’ ITALIANA NON E’ CAMBIATA IN MEGLIO, ANZI. Perchè per cambiare occorre che vi sia un programma, un percorso, obiettivi condivisi su cui fare una lunga lotta, su cui aggregare molte più persone di quelle scese in piazza ieri. Un primo segnale potrebbe già essere quello di smettere di dare cifre non vere. Ieri non erano un milione, erano tanti, e non è stato facile portare in piazza così tanta gente. MA NON ERANO UN MILIONE.  E le cifre contano. Perchè il partito che tutti fanno finta di credere guidi questo governo ha preso il 42 per cento dei voti. E manco quelli son bruscolini, anzi sono cifre certificate.
La grande processione di ieri NON ERA E NON VOLEVA ESSERE UNA MANIFESTAZIONE DI LOTTA.  Altrimenti con i tempi che corrono si sarebbero, almeno temporaneamente, bloccate strade autostrade ferrovie porti ed areoporti. MA IL SINDACATO SE NE GUARDA BENE ANCHE SOLO DAL PENSARLO.  Era una processione di gente che si aspetta, che invoca un miracolo.
Caro Mao, in testa a tanta gente regna una grande confusione. In tanti vogliono uno stato sociale, uno stato che non ti lasci solo quando hai più bisogno, una società solidale MA NON VOGLIONO CHE QUESTA SOLIDARIETA’ COMPRENDA ANCHE I PIU’ POVERI TRA I POVERI. Non vogliono estendere questi benefici anche a chi arriva in Italia da Paesi dove la vita è una tragedia che neppure possiamo immaginare quanto sia tragica, infernale. Eppure queste persone vorrebbero poter lavorare, mica mangiare a sbafo, mica fare i mantenuti. Ma la coperta è troppo corta e non basta per tutti, dicono in tanti. E’ una minoranza quella che dice che non è vero che non ci sono i soldi. E’ UNA MINORANZA QUELLA CHE DICE CHE I SOLDI BISOGNA ANDARLI A CERCARE ED A PRENDERE DOVE CI SONO. Gli altri, la maggioranza, pensano che questo sia molto, ma molto difficile. Ed allora preferiscono far la guerra ai poveri, pensano di poterla vincere….
E questo è un elemento di confusione, di divisione. Sarebbe bastato che ieri fosse stato il primo giorno, il primo passa di una lunga lotta perchè fosse riconosciuto a ciascuno il diritto ad una vita dignitosa. Cosa questa che oggi vuol dire salario di cittadinanza a chi ha perso il lavoro o a chi non ne ha ancora trovato uno. SAREBBE BASTATO QUESTO PER INTRODURRE UN PRIMO, INDISPENSABILE ELEMENTO DI CHIAREZZA NEL DIBATTITO POLITICO SUL NOSTRO FUTURO, SULLA STRADA CHE VOGLIAMO IMBOCCARE.  Ma di questo nel sindacato neppure si vuole parlare. Ed allora smettiamola di prenderci in giro con le stupidaggini sul fiume rosso che avrebbe inondato Roma. Ha ragione Renzi. Una parte minima, anche se rispettabile, dei sessanta milioni di italiani ieri ha manifestato a Roma la propria scontentezza. NELL’AGENDA POLITICA DELLE ORGANIZZAZIONI POLITICHE E SINDACALI COMUNQUE NON E’ CAMBIATO ASSOLUTAMENTE NIENTE. Le processioni passano, il disagio resta.