lunedì 10 dicembre 2007

"LA BUONA NOVELLA

La religione cristiana, che io sappia, è la sola in cui il dio abbia la peculiarità di essere un dio vittima .
La regola è che siano gli uomini ad offrire vittime agli dei magari sacrificando in loro onore altri uomini. Il cristianesimo ci propone invece un dio che non solo si fa uomo, ma uomo poverissimo, un dio che si fa morire, uccidere, con un supplizio infamante, un dio vittima, non un dio carnefice e trionfante. Sotto questo profilo la rottura tra vecchio e nuovo testamento non potrebbe essere più radicale.
Dalle considerazioni su questo dio dei vinti, degli ultimi, degli oppressi, ha tratto spunto la teologia della liberazione, così come sempre trassero spunto tutte quelle teologie che hanno messo capo a movimenti “ereticali” (nel senso che tali erano dichiarati dalla chiesa di Roma, e come tali combattuti fino al loro sterminio fisico.)
Molti atei o agnostici, di idee socialmente progressiste, molti democratici radicali, hanno sempre simpatizzato con le teorie e con i partecipanti di questi movimenti, senza dubbio alcuno progressisti.

Ed è proprio sulla portata di questo progressismo che vorrei fare qualche breve considerazione.

In queste correnti di pensiero religioso, l'abolizione della proprietà privata, l' afflato fraterno e comunitario, democratico ed egualitario, DA REALIZZARE ANCHE SULLA TERRA, sono componenti teologiche della loro fede religiosa, ovvero vengono condannate come peccaminose le opinioni contrarie, ovvero ANCORA UNA VOLTA SI PROPONE UNA LETTURA TEOLOGICO-RELIGIOSA ( ED IN QUANTO TALE DOGMATICA E METAFISICA)DELLA REALTA' POLITICA, DELLA STORIA SOCIALE DELL' UMANITA'.
Eppure un' altra lettura è possibile....una lettura che parta dalla considerazione che se il figlio di dio, ovvero dio stesso, la seconda -solamente in ordine di elencazione-persona della santissima trinità, ha deciso per salvare l'uomo (per salvarne si badi bene L'ANIMA IMMMORTALE, ovvero la sua ESSENZA ULTRATERRENA) ha deciso di incarnarsi in un povero, in un oppresso, in un reietto per poi resuscitare, sconfiggere la morte, salire al cielo,laddove si celebra il suo trionfo, (visto che l'esistenza terrena rimane “valle di lacrime”)....se tutto questo è accaduto per volontà di dio, allora vuol dire che la povertà e l'oppressione non sono accadimenti transitori ed accidentali della vicenda umana, per superare i quali ci si possa e ci si debba impegnare, come compito religioso primario, ma sono condizioni strutturali, ontologiche della realtà terrena, volute da dio stesso. Tanto è vero che egli non solo non le ha rifiutate, ma le ha addirittura santificate.

Insomma se il dio incarnato ha accettato per sé stesso la povertà, l'oppressione il dolore e la morte (resuscita sì ma non per restare in questo mondo) chi siamo noi poveri esseri umani per respingerle, per rifiutarle, per dichiararle indegne della condizione umana, per volerle gettare, sia pure metaforicamente, come fa Marx ne IL MANIFESTO DEI COMUNISTI, fuori dalla storia ?
Sicuramente dei superbi e degli illusi.
A mio sommesso avviso queste due letture teologiche della “Buona Novella” hanno -TEOLOGICAMENTE parlando- uguale dignità di fondamento.
E' ovvio che, sia sul piano dell'utilità politica che su quello (non certo meno importante) dell'umana simpatia, dell'umano <> i due punti di vista non possono certo essere per noi equivalenti.
E però quello di fondare l'emancipazione degli sfruttati e degli oppressi su ragioni teologiche, sia pure “progressiste”, è alla fine un falso progresso.

Ovvero si cercano in cielo, si cercano attraverso dispute su “scritture” definite “sacre” ragioni che in definitiva appartengono alla sfera della vicenda terrena, della vicenda umana, della storia materiale dell'umanità, di una storia, per altro fallibilissima, di una scienza che, proprio perchè materialmente condizionata, procede, quando procede, attraverso innumerevoli errori.
Non è da nessuna scrittura sacra che possiamo seriamente e ragionevolmente ricavare un giudizio sul mercato, o, che so io, sul keynesismo o sullo statalismo.
Epperò storia e scienza dell'uomo fondate sull'uomo, che nell' uomo fondano, radicano la propria costituzione e non in una rivelazione divina e non in un mondo al di là.
Il materialismo in fondo è tutto qui, fondarsi sulle SICURE INCERTEZZE dell'aldiqua piuttosto che sulle ferree certezze dell' aldilà...accettare la morte non come momento di passaggio nella vicenda della vita eterna, ma come fatto inerente alla vita materiale degli individui e della specie, poco simpatico per gli individui, contraddittoriamente INDISPENSABILE alla sopravvivenza della specie.
Lottare per vite decenti concludentisi con morti le più decenti possibili.
E così come noi dobbiamo abituarci al massimo rispetto delle opinioni religiose, dovremmo anche emanciparci dalla religione non chiedendo ai credenti di aderire ad una visione religiosa progressista, non accettando mai di usare la politica per favorire una visione religiosa contro un' altra.
Se battaglia e polemica culturale i materialisti debbono fare che sia per difendere e diffondere (non certo in modo missionario o comunque propagandistico-impositivo) le proprie posizioni, quelle appunto della critica terrena alle cose terrene.

E' ovvio che, non certo per pure ragioni tattiche, occorra cercare, avere, accettare un rapporto con quanti, pur partendo da posizioni teologiche, appoggiano le ragioni della liberazione degli sfruttati e degli oppressi, tenendo comunque ben fermo il punto che di politica, di economia e di società si tratta, e che i giudizi e le decisioni attinenti si fondano su teorie scientifiche e non teologiche.
Pertanto respingendo le condanne ai movimenti di liberazione che si fondano su ragioni teologiche così come non sollecitando interventi di benedizione, respingendo le condanne con argomenti attinenti alla materia e non con citazioni di vangeli, bibbie, corani ed altri vari libri sacri (per chi ci crede).
La riconquista del materialismo, delle sue ragioni, non è una tappa facoltativa nel cammino dell' emancipazione umana, così come non lo è nella strategia della costruzione, ri-costruzione di un soggetto antagonista.
Essa comporta anche, secondo me, l'abbandono della definizione “non-credente”.
La trovo politicamente scorretta. Siamo atei e credenti. Ovvero abbiamo convincimenti etici, morali, una nostra filosofia, una nostra antropologia per le quali rivendichiamo una dignità, per lo meno pari a quella delle convinzioni religiose...non abbiamo una fede, è vero, ma molti dubbi, meno male...e la buona novella in molti sappiamo che non la vedremo realizzarsi e del resto niente e nessuno garantisce la realizzazione.della nostra buona novella, quella che dice con le parole immortali di Benedetto Spinoza HOMO HOMINI DEUS.

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