venerdì 25 aprile 2008

A riprova di quanto vero fosse lo slogan che veniva gridato dagli spezzoni estremisti, extraparlamentari, che si mettevano alla coda dei cortei ufficiali ed ingessati dell’arco ex-costituzionale (che poi si è dimostrato essere più che altro un arco prostituzionale) voglio riprodurre delle belle parole di Giuseppe Dossetti.
Giuseppe Dossetti, anche lui caduto nel dimanticatoio, fu una figura interessante, e, lasciatelo dire ad un anticlericale, bellissima di cristiano politicamente impegnato.

Sarebbe un vilipendio ed un impoverimento della ricchezza e della complessità di questa grande personalità dell’antifascismo volerla cooptare nel panteon dei santini della sinistra.
Definiamolo come un cristiano socialmente impegnato.
Partigiano, nell’ Emilia -allora rossa- viene chiamato alla vicesegreteria nazionale della DC.
Ma diviene da subito l’antiDeGasperi. Contrario alla NATO, contrario a tutte le misure di ripresa del capitalismo selvaggio, che sarà una delle cause del miracolo economico degli anni 60, quando perde tutte le battaglie intraprese si ritira a vivere in un eremo dalla parti di Marzabotto, abbandonando di fatto ogni partecipazione alla politica attiva. Nel 1959 viene ordinato sacerdote.
Nle 1994 di fronte all’incalzare del berlusconismo, allo sfacelo della DC e con essa di tutto il sistema dell’arco ecc.ecc., di fronte a chi approfittava di tutto ciò per iniziare l’attacco alla Costituzione uscita e legittimata dalla Resistenza, Dossetti non tace.
Il vecchio partigiano, tra l’altro uno dei padri nobilissimi, della Costituzione in quanto membro dell’assemblea che la scrisse, alza la sua voce mite ed autorevole.
La vicenda, la traiettoria politica di Dossetti sono la riprova della incompatibilità tra una DC in larghissima parte afascista e gli ideali di trasformazione sociale alla base della Resistenza al fascismo ed al nazismo.
Alla considerazione dei miei quattro lettori (o dovrei dire tre, visto che io, per scrivere, debbo per forza leggermi) affido queste altissime e profetiche parole.


Quelle che seguono sono le ultime righe del testo di una intervista a Giuseppe Dossetti da
parte della redazione della rivista BAILAMME nell estate del 1993. Lo scritto è stato rivisto
dall autore. Si trova ora in BAILAMME n. 18-19


Viviamo in una crisi epocale. Io credo che non siamo ancora al fondo, neppure alla metà di
questa crisi. Sempre più ci sto pensando. Sono convinto che lo scenario culturale, in
tellettuale, politico non ha ancora esplicitato tutte le sue potenzialità.
Noi dobbiamo considerarci sempre di più alla fine della terza guerra mondiale; una guerra
che non è stata combattuta con spargimento di sangue nell'insieme, ma che pure c'è stata
in questi decenni.
Questa guerra è in qualche modo finita, con vinti e vincitori, o con coloro che si credono
vinti ed altri che si credono vincitori.
La pace, o un punto di equilibrio, non è stata ancora trovata in questo crollo complessivo.
Il mondo è crollato oggi più che non dopo il 1918 o il 1917.
Si pensi alla Russia: cosa è accaduto della Russia ? Ha perduto la guerra e si trova in
condizioni peggiori di quelle del momento del suo disfacimento nel 1917, anche
strategicamente e territorialmente. E' è stata amputata più gravemente che nel trattato di
Brest Litovsk, con conseguenze indicibili, indescrivibili.
Gli Stati Uniti cosa hanno vinto ? Non si può dire che siano vincitori. E' crollato il mondo
avversario senza che l'Occidente se ne rendesse conto e senza che preparasse niente.
Durante i due primi conflitti mondiali, nella fase finale delle operazioni militari, c'è stata una
preparazione della pace, tanto nel 1917 che nel 1943-44; oggi niente di simile, niente è
stato preparato, tutti sono stati sorpresi e tutti sono stati sconvolti.
La democrazia americana è finita; anche se ha vinto, non può proporre niente, e sino a
oggi non ha proposto niente. Lo sconvolgimento è così radicale che noi non sappiamo
quello che sarà domani, quello che sarà nel 1994, che sorprese avremo. C'è un
rimescolamento completo di situazioni, siamo ritornati in Europa a prima del 1914. Il
rimescolio dei popoli, delle culture, delle situazioni è molto più complesso di quello che
non fosse nel 1918. E' un rimescolio totale. In più c'è la grande incognita dell'Islam, una
incognita in qualche modo imprevedibile.
Noi cerchiamo di rappresentarci questo sconvolgimento totale con dei modelli precedenti,
quelli del 1918 , quelli della pace di Versaglia, quelli del 1944-45, quelli di Yalta, ma sono
tutti non proporzionati, perché il rinnovamento è assai più radicale. Siamo dinnanzi
all'esaurimento delle culture. Non vedo nascere un pensiero nuovo nè da parte laica, nè
da parte cristiana. Siamo tutti immobili, fissi su un presente, che si cerca di rabberciare in
qualche maniera, ma non con il senso della profondità dei mutamenti. Non è catastrofica
questa visione, è reale; non è pessimista, perché io so che le sorti di tutti sono nelle mani
di Dio. La speranza non vien meno, la speranza che attraverso vie nuove e imprevedibili si
faccia strada l'apertura a un mondo diverso, un pochino più vivibile, certamente non di
potere.
Questa speranza , globale in un certo senso, è speranza per tutto il mondo, perché la
grazia di Dio c'è, perché Cristo c'è , e non la localizza in niente , tanto meno in noi. L'unico
grido che vorrei fare sentire oggi è il grido di chi dice: aspettatevi delle sorprese ancora
più grosse e più globali e dei rimescolii più totali, attrezzatevi per tale situazione.
Convocate delle giovani menti che siano predisposte per questo e che abbiano, oltre che
l'intelligenza, il cuore, cioè lo spirito cristiano. Non cercate nella nostra generazione una
risposta , noi siamo veramente solo dei sopravvissuti.

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