sabato 6 marzo 2010

Come stravolgere la legalità a "favore" della democrazia

DEMOCRATURA


L’esperienza del fascismo prima e la forsennata campagna anticomunista degli anni cinquanta dopo, chiaramente radicata nei crimini effettivamente commessi dallo stalinismo***, hanno reso la stessa parola DITTATURA (e la discussione sulla sostanza) praticamente tabù tra larghe masse di cittadini, ma anche tra molte persone che per mestiere  fanno gli intellettuali. 

Oggi ci che troviamo di fronte ad un salto di qualità pratica della vita politica non riusciamo a tematizzare adeguatamente il nuovo.

Prendiamo il caso della mancata presentazione delle liste per le elezioni regionali da parte del Popolo delle Libertà. In due regioni chiave: Lazio e Lombardia.Causata da difficoltà di carattere politico-correntizio tutte interne al PdL e non certo dovute a banali incidenti di percorso.
 

Così come la DC nei nefasti anni dei propri fasti, anche il PdL scarica sulle e nelle istituzioni le proprie difficoltà interne con in più la malagrazia deriventagli dall’essere diretto e composto o da politici di secondo e terzo ordine o da improvvisatori dell’ultimora.
Le istituzioni entrano in fibrillazione.
Si sta producendo una tensione, non facilmente sostenibile e risolvibile adeguatamente tra legalità (rispetto assoluto della norma vigente nella forma e nella sostanza) e legittimità (è accettabile che una parte consistente dell’elettorato, solo appena un po’ meno del 50 per cento, non trovi rappresentanza alcuna ?). Si sta andando COMUNQUE verso il cortocircuito tra legalità e legittimità.
 

Qualunque sia la soluzione prescelta.
 

Tra moltissimi è ormai da tempo che prevalgono disinteresse e confusione.
 

La destra e la borghesia sono organizzate in un soggetto politico che ha saputo conquistarsi una egemonia politico-culturale che travalica (e non di poco) i confini del suo bacino politico-elettorale.
Vedi l’ uso spregiudicatamente “terroristico” del termine TERRORISMO, vedi il Giorno del Ricordo e la questione delle foibe (su cui perfino fette consistenti di una pseudo sinistra pseudo radicale si sono abbandonate a cedimenti che grondano per ogni dove disonestà intellettuale ed opportunismo). Per parlare solo della superficie.
 

Se andiamo un più a fondo troviamo da un trentennio uno squilibrio teorizzato legalizzato e praticato tra le ragioni del governare e le opportunità della rappresentanza (tra l’essere governati e l’essere rappresentati, ovvero sull’avere voce in capitolo nelle decsioni di chi CI governa).

Venuta meno la memoria dei terribili risultati della dittatura e dell’avventura nazifascista, logoratesi in un cinquantennio le ragioni e le capacità della mediazione democristiana, una sinistra malamente socialdemocratica (ma che usava questa parola come un insulto) ha perso la bussola tra i calcinacci e le macerie del crollo del Muro di Berlino e non ha più saputo trovare le coordinate di una strategia (sia pure rimanendo nell’ambito capitalista) alternativa alla destra, ma ne ha subito le ragioni (per lo più i torti) e l’egemonia prima nell’ambito della culura politica istituzionale, poi in quello dell’ idea di società.


Una ricerca politica sostanziata da un’ idea di democrazia legata a quella di rappresentanza verificata e verificabile, a partire dalle esigenze del territorio sembra al di là da venire.


Sicuramente ben oltre le colonne d’Ercole delle tematizzazioni liberal-liberiste che condizionano l’immaginario politico e culturale dei nostri viscosi giorni.
 

La soluzione del “decreto interpretativo” è una tipica soluzione dittatoriale, di quelle tanto care a Carl Schmitt, pensatore sì eccellente e stimolante, MA DI CUI NESSUNO DEVE SENTIRSI LIBERO DI DIMENTICARE LE RADICI E LA SOSTANZA AUTORITARIE ED ANTIDEMOCRATICHE, nel senso di controrivoluzionarie, con il duplice riferimento sia alla Rivoluzione d’Ottobre ma anche, e forse più, alla Rivoluzione Francese.
Il fatto che sia stata adottata da un governo che gode tuttora un largo consenso, e penso che questo atto, comunque lo rafforzerà, ci deve chiamare a riflettere sulla necesità di non demonizzare nè la parola DITTATURA nè le tematiche sottese al termine in questione.
Ci deve chiamare a pensare la sua neutralità “strumentale” per così dire ai fini che un partito o un movimento si propongono.
Siamo comunque in ritardo, e non lo reupereremo per un bel pezzo. Prima si comincia meglio è.
I testi da cui partire, quelli dei nostri maestri, sono utilizzabili purchè il loro riuso sia consapevole del loro essere irrimediabilmente datati.
Occorre ripensare il tutto alla luce dei processi di “globalizzazione” che, ben lungi, dal togliere peso agli stati nazionali, ne ridisegnano, insieme talvolta ai confini geografici, anche le funzioni e le forme.
Nuova economia, nuove funzioni e nuove forme statuali, ovviamente sempre nel segno della dominazione e dello sfruttamento dei pochi sui più.
Contro le nuove forme della dittatura le nuove forme della democrazia, ripensare insieme il momento del governo e delle decisione sostanziati dalla rappresentanza/rappresentatività, sintesi, dibattito, autorganizzazione.
Insieme: non è mai troppo tardi anche se qui ed ora  il ritardo accumulato ci appare ed è enorme.


***Per quanto riguarda lo stalinismo ed i suoi crimini si sa moltissimo, poco però in Italia si sa (e per niente o quasi si discute) della qualità e delle istituzioni della vita politica e sociale degli USA, che passano come la patria della libertà più sregolata…NON E’ COSI’. 
Basterebbe pensare alle difficoltà legali ENORMI di costruire e fare sindacato, difficoltà che nell’ambito del pensiero costituzionale e della prassi politica europea sembrano al limite della proibizione e ben più di qualche volta oltre.

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