martedì 1 giugno 2010

qualcosa su Ghaza e la nonviolenza 1

Ragioniamo un attimino, dopo i massacri del passato dicembre 2008, davvero qualcuno pensava che un atto umanitario e nonviolento come la partenza della flottiglia che tentava di portare aiuti umanitari a Ghaza, avrebbe messo in difficoltà la dirigenza sionista ?

Impegnata oltretutto in un duro confronto sul fronte per lei più importante, quello con Obama, il quale ha tentato, fino ad ora manifestamente senza successo, di imporre le proprie ragioni alla banda Nethanyau (degna erede della Banda Stern, una delle organizzazioni terroristiche a cui deve la propria nascita lo stato di Israele).

L’attacco israeliano è stato un sondaggio sanguinoso, volutamente sanguinoso, visto il numero degli assassinati e dei feriti gravi, per vedere fino a che punto l’ attuale leadership americana è disposta ad arrivare nell’ appoggio ad Israele. E comunque a stabilire un punto negoziale de facto.

Ovvero “Voglio vedere cosa succede negli USA se Obama, o chi per lui, trovasse il coraggio di esecrare l’azione sionista, voglio vedere cosa succede tra gli ebrei americani e nell’oponione pubblica americana”.

Quindi qualsiasi cosa faccia Israele, anche aggressioni giuridicamente piratesche, contro gente armata, al più di qualche spranga di ferro, gli USA non la sconfessaranno mai. Questo, è ovvio, il tentativo di Nethanyau.

Quanto abbia vinto e quanto abbia perso ce lo diranno le settimane ed i mesi che verranno.

Non si può certo pensare che gli USA facciano un brusco voltafaccia dall’ oggi al domani. 

Se vi saranno dei cambiamenti di un qualche rilievo, e non è affatto detto che ci saranno, nella linea di condotta pro-israeliana, saranno le prossime settimane a dircelo.

D’altro canto va notato come quando si scende sul terreno della nonviolenza, le dirigenze palestinesi, mostrino tutta la propria impreparazione politica e culturale, una inadeguatezza di stampo cavernicolo.

Insomma ogni azione nonviolenta del pacifismo internazionale propalestinese si direbbe subita, sopportata, guardata con aria di malcelata sufficienza, “questo per ora passa il convento, ma se domani ecc. ecc.”

E’ più che comprensibile che nella gente comune la violenza nazisionista, quella delle operazioni in grande stile così come quella, terribile (e per questo ritengo non esagerata la definizione di nazisionista) esercitata nelle minuzie di ogni giorno per annichilire la dignità umana dei palestinesi, come individui e come popolo, non possa suscitare, al tempo stesso che ribellione iperviolenta e rassegnazione frustrata, molto ma molto meno comprensibile è che i gruppi dirigenti, con varietà di accenti, a seconda delle ideologie propugnate e delle convenienze partitiche particolari, non sappiano imboccare la strada di una revisione TOTALE delle proprie ispirazioni ed imboccare con decisione la strada della lotta non-violenta e di massa.

Povero Gandhi se avesse lottato attraverso un atto di disobbedienza isolato e non attraverso campagne di settimane e mesi, dopo aver accumulato le forze e messo a punto le tattiche più opportune e varie, non solo e non tanto per testimoniare, ma PER VINCERE.

Cosa succederebbe se dopo le sei navi assaltate e bloccate in acque internazionali ne partissero altre tre, e poi altre quattro ??

Dichiarando urbi et orbi a muso durissimo che chi tollera gli assalti pirateschi della marina sionista non ha la minima legittimità morale per combattere gli attacchi corsari nel Mar Rosso ?

Che reazioni si avrebbero in Turchia e negli altri paesi islamici mediterranei ?? 

Ma vi immaginate i sommovimenti tra le popolazioni che vedrebbero le proprie forze armate reprimere attivisti nonviolenti musulmani e non-musulmani per difendere il “diritto” (???) di Israele a calpestare i diritti umani dovunque faccia comodo ai suoi governanti ??
E nelle stesse forze armate ???

E si badi bene non per una quarta o quinta guerra santa per buttare a mare ogni ebreo, ma per rompere l’infame assedio a Ghaza.

Niente è scontato, davvero, ma certamente un tentativo del genere, che potrebbe nascere solo da profondi e radicali ripensamenti culturali e politici nella leadership palestinese, varrebbe la pena di essere progettato ed effettuato.

Oltretutto questo darebbe fiato e forza alle voci del pacifismo israeliano che, se pure ultraminoritario in questi momenti, comunque esiste, ed è l’unico interlocutore possibile per un futuro di pace e di democrazia vera in Palestina.

Che Hamas, un movimento politico di ispirazione religiosa fondamentalista ed antiprogressista, possa rifiutare (o magari un domani accettare solo per convenienza tattica) ogni discorso noviolento, è quasi normale.

Nonostante la strada della lotta armata appaia impraticabile, come strada verso la vittoria, stante la disparità enorme, incommensurabile, delle forze in campo, da bravi credenti fondamentalisti aspettano il miracolo.

Ma che questa coazione a tentare (oltretutto invano) di essere speculari alla violenza sionista impregni anche le dirigenze laiche questo sì che è stupefacente.
La loro rinunzia si fonda su rassegnazione e corruzione.

Accettano (subiscono) il negoziato perchè privi del fucile e speranzosi che, comunque, arrivino un po’ di dollari per mantenere i loro privilegi.

L’ approccio nonviolento servirebbe a spiazzare entrambe queste leadership incapaci di porre termine all’egemonia sionista guerrafondaia sulla Palestina.

Servirebbe a sviluppare potenzialità democratiche di massa, che pur embrionalmente esistono -da entrambi i lati della barricata- a dare fiducia reciproca tra quanti sono disponibili a parlare, a negoziare, a guadagnare loro attenzione e rispetto da parte delle masse arabe ed ebraiche.

La fiducia reciproca è un passo successivo, per ora utopicamente lontano, ma non impossibile.
Perchè contrariamente a quanto proclama Hamas negoziare si può e si deve.

Ma si negozia con una lotta efficace in piedi, altrimenti la parola “negoziato” è un eufemismo per non parlare di lamentosa mendicità.

E’ ovvio che non si potrà pensare ad applicare una completa “legge del ritorno” per tutti i palestinesi espulsi ed i loro discendenti, ma indennizzare in maniera equa e sufficente quanti languono da generazioni nei campi profughi, riconoscendo con le parole e con i dollari le proprie responsabilità storiche, politiche e morali, nella catastrofe che fondando Israele ha affondato milioni di esistenze palestinesi, QUESTO SI DEVE E SI PUO’.

E’ altrettanto ovvio che se non produrrebbe niente di buono cacciare dalle terre dove sono nati e radicati da qualche generazione un certo numero di cittadini israeliani, facendone profughi erranti assetati di vendetta, invece una grande quantità di ebrei che in Israele è venuta, abbandonando il proprio paese, dove nessuno la perseguitava, seguendo un’ ideologia pionieristica e religiosa fondamentalistica, dovrà andarsene e ritornare da dove è partita per permettere una vita decente e dignitosa alla gente a cui ha strappato selvaggiamente con la forza e la brutalità la terra in cui è nata.
Per questo è importantissimo che si alzi più forte che si può, anche da parte delle compagne e dei compagni dell’ Europa occidentale, il grido BOICOTTIAMO ISRAELE, boicottiamo tutto ciò che è israeliano ed allineato con la politica sionista.

Denunciamo i crimini israeliani, e sopratutto il criminale razzismo che ha presieduto alla fondazione stessa di Israele, UNA TERRA SENZA POPOLO PER UN POPOLO SENZA TERRA.

Gli arabi palestinesi erano a malapena esseri umani (certo da parte dei sopravvissuti di Auschiwitz quale grande generosità) ma non formavano un popolo.

Vivevano in una terra di cui non erano il popolo, le loro radici non erano vere radici. Che cosa erano allora , ce lo raccontino, senza però far ricorso a porcherie razziste.

Non è un caso che gli USA, la nazione colonizzatrice razzista e sterminatrice per antonomasia, abbia simpatie così profonde per Israele.

Ma appunto questa radice razziale e razzista è il vizio d’origine che impedisce a chiunque abbia serenità e buon senso di porre sullo stesso piano le violenze degli arabi e quelle degli ebrei israeliani.
Questo per ristabilire le verità storiche e morali. D’altro canto queste possono essere solo un punto di partenza, NON DI ARRIVO.

L’ iniziativa politica per fare la storia non ne può rimanere prigioniera.
Ma perchè questo accada occorre che il popolo palestinese non sia lasciato solo, anche quando non si condividono, in parte o totalmente, gli indirizzi e le ispirazioni dei suoi gruppi dirigenti. Solo con il dialogo e la contaminazione si potranno aprire degli spiragli e forse far avvertire la necessità di alcune revisioni.

Da un lato riconoscimento del diritto all’esistenza del popolo israeliano dall’altro ristoro e risarcimento. Le condizioni della pace ci potrebbero essere. Da parte palestinese per ora manca  un Mandela, da quella israeliana ci son troppo pochi refuznik.

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